“La sinistra è morta da tempo, abbiamo vissuto un sogno che ora non esiste più. Esistono i valori a cui faceva riferimento, ma non esiste più come categoria politica”.
La sintesi del pensiero di chi ha fatto il sessantotto; parte da qui la mia riflessione, dalle parole di Stefano Vivacqua, ad un incontro sul 50º anniversario del ‘68 agrigentino.
Un enunciato che sarebbe necessario provare. Sicuramente un’affermazione che mi ha spiazzato, che non mi ha sorpreso; che mi ha stupito sì, ma per chi queste parole le ha pronunciate.
Voglio così rifletterci con semplicità, con il distacco di chi certe esperienze le ha vissute dal di fuori, o forse proprio non le ha vissute perché aveva solo due anni, ma ci ha creduto, forse più con l’energia dei Clash prima e dei Nirvana poi che con la pacatezza dell’intellettuale che non sono mai stato.
Voglio quindi riportarvi un’altra osservazione, quella di un coetaneo del relatore di cui sopra, ex sessantottino anch’esso, un artista. Il mio amico Giovanni Tedesco dice: “la sinistra è totalmente finita con la realizzazione oggi di quello che i comunisti hanno sempre voluto: il Movimento 5 Stelle ha realizzato la dittatura del proletariato, il 6 politico, il reddito di cittadinanza, l’assistenzialismo assoluto, la nazionalizzazione, il veterocomunismo, il pauperismo”.
COME VOLEVASI DIMOSTRARE
Lo scriveva sempre alla lavagna il mio mitico prof. di matematica delle superiori, Totò Taverna, a caratteri cubitali al termine delle dimostrazioni: C.V.D.
Rendite di posizione della sinistra, simboli pilastro e ragione di esistenza come ad esempio l’articolo 18 sono stati spazzati via da una realtà stravolta: il problema del mercato del lavoro oggi non è la difesa del posto ma la creazione del posto.
Non siamo più nel 1960, in pieno boom economico, siamo in tempi in cui la globalizzazione, i flussi immigratori, ci hanno imposto un livellamento in basso dei redditi e la disponibilità di risorse deve essere distribuita su un nunero di persone che è 10 volte quello di 60 anni fa. E le disuguaglianze sono sempre le stesse, con la differenza che non esiste una classe operaia ma solo ricchi e poveri.
Luigi Pintor nel suo ultimo editoriale scritto nel 2003 diceva della sinistra: “Le nostre idee, i nostri comportamenti, le nostre parole, sono retrodatate rispetto alla dinamica delle cose, rispetto all’attualità e alle prospettive”.
E quello che osservo è desolante se ciò che è rimasto della sinistra non coglie che “le volontà collettive non pre-esistono alla politica” – scrive Samuele Mazzoleni, giovane filosofo e politologo, nel suo saggio “I giovani salveranno l’Italia” -, il pensiero, e la sua formazione, “va costruito attraverso un lavoro di articolazione: questo significa sporcarsi le mani nel senso comune, adottare un vocabolario che abbia attinenza con la fase storica in cui si vive” continua Mazzoleni, “un’operazione troppo difficile per chi si crogiola nella propria identità, crede di avere la verità in tasca e guarda con disgusto all’ignoranza”.
In questo preciso contesto storico il pensiero non si forma su alcuna riflessione, l’ignoranza ha in effetti preso il sopravvento riscattandosi dalla marginalizzazione in cui è sempre stata relegata. La contrapposizione cultura/ignoranza non ha più senso quando è la stessa conoscenza a generare l’ignoranza.
UNA SINISTRA AUTOREFERENZIALE CHE NON SA RINNOVARSI.
Il gioco si esprime allora tutto sulla autoreferenzialità spostando il problema sulla necessità di unire la sinistra come se questa fosse un’operazione da cui non si può prescindere, un bisogno sentito dal Paese. Ma a chi interessa l’unità della sinistra se non a chi ha interessi nella sinistra?
C’è un’incapacità congenita di scrollarsi di dosso un dogmatismo massimalista, di evitare la reiterazione di linguaggi e paradigmi in crisi, che impongono confini, alzano steccati e costruiscono muri entro cui deve avvenire il confronto piuttosto che ricercare un’identità più ampia e moderna capace di rigenerarsi.
Un atteggiamento questo molto simile a quello che Pollock definiva “ottimismo epistemologico”, cioè la convinzione che esista una verità e che questa prevarrà comunque ai complotti dell’ignoranza.
LA SINISTRA COME SINTESI DI VALORI.
Scrive Luca Sofri in un suo articolo “Communisti così”: “La “sinistra” non è un valore condiviso delle nostre società: lo sono la giustizia, la libertà, l’uguaglianza, il rispetto, la premura per il prossimo, e ancora. In base a queste cose si predica e si giudica la bontà delle scelte”.
Ed appunto la sinistra non può che essere uno strumento che legge e interpreta questi principi: lo sbaglio comune a tutti coloro che si ritengono far parte della “vera sinistra”, è credere che la sinistra sia un principio e non invece un contenitore dove si mescolano questi valori insieme all’attualità per dare risposte alle esigenze di una collettività, una società, un mondo moderno che guarda avanti e non indietro.
Sinistra non significa nulla se non ci si lavora quotidianamente per dargli corpo in pratiche e contenuti. Fare riferimento ad argomenti posticci risulta utile solo per la propaganda e alla fine diviene respingente.
Chiunque abbia tentato negli ultimi anni, dalla “svolta della Bolognina” fino a Renzi, di cambiare il concetto di imporre la sinistra come un valore assoluto ne è uscito massacrato.
Certo, mi si può obiettare che io sono il più ignorante per pronunciarmi su questa materia. Ma forse di questo ha bisogno la sinistra, di ignoranza. Di ignoranza e consapevolezza, però, del presente e soprattutto del futuro.
COSA RESTA TRA NOI DELLA SINISTRA
Giorni fa scrissi sulla pagina Facebook del mio amico Giandomenico Vivacqua: “La sinistra torni a fare quello che ha sempre fatto e rappresentato: mediazione, formazione, cambiamento, speranza, modernità e non l’icona della conservazione”.
Mi rispose così il dr. Fausto D’alessandro, un socialista sincero, vecchia stampo, squisito oratore: “Alessandro, la sinistra non esiste più, si è esaurita, siete stati voi, col sessantotto a dichiararne la fine, col vostro libertinismo, piuttosto che progressisti e liberali. La politica di sinistra, in tutto il mondo, deve ripartire dai valori cristiani e del socialismo”.
Del resto, le categorie di destra e sinistra si stanno dissolvendo in un magma di concetti, pregiudizi, stereotipi che forse oggi possono chiamarsi populismo, che sempre più permeano le società occidentali. La radicalizzazione delle posizioni ai margini estremi sembra più un atto di irresponsabilità che di difesa.
UNA SINISTRA GIOVANE, DEI GIOVANI E DELLE ISTITUZIONI.
Sempre Pintor scrive nel suo ultimo editoriale: “Non ci vuole una svolta ma un rivolgimento. Molto profondo. C’è un’umanità divisa in due, al di sopra o al di sotto delle istituzioni, divisa in due parti inconciliabili nel modo di sentire e di essere ma non ancora di agire. Niente di manicheo ma bisogna segnare un altro confine e stabilire una estraneità riguardo all’altra parte. Destra e sinistra sono formule superficiali e svanite che non segnano questo confine”.
È necessaria una nuova politica, e il progetto che disegna i confini di questo rivolgimento è già scritto, è la nostra Carta costituzionale, e il soggetto più adatto a disegnare una nuova politica non possono che essere i giovani, sono loro che hanno la creatività adatta a realizzarlo, loro che hanno il diritto e la responsabilità di crearsi un futuro che abiteranno, loro che hanno il dominio degli strumenti, gli esclusi che devono avere voce e la loro voce è più importante dei didascalici contenuti che l’élite ha fin qui offerto. Quella élite così tanto chiamata in causa oggi, così tanto schizofrenica: tanto invadente quanto estranea.
Ecco perché ho votato Giachetti.
(Alessandro Riccardo Tedesco)
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