Mario Ciulla, patron e chef di Granofino, ha voluto regalare ai suoi clienti e alle famiglie un’esperienza autentica, pensata per trasmettere i valori più genuini del territorio. L’idea nasce dal desiderio di riportare alla luce una tradizione che rischia di perdersi: quella della salsa di pomodoro della nonna, simbolo di convivialità e memoria gastronomica.
Un rito che apparteneva alle famiglie di un tempo, quando in estate le cucine si riempivano di profumo di pomodoro e di pentoloni in ebollizione. Questa domenica, al ristorante Granofino, quel rito è tornato a vivere grazie all’iniziativa di Mario Ciulla, patron e chef, che ha voluto offrire ai suoi clienti e alle famiglie un’esperienza autentica: la preparazione della salsa di pomodoro come facevano le nonne.
La giornata, ribattezzata Granofino Experience, ha avuto come protagonista il pomodoro siccagno, simbolo di un territorio che resiste e di una cucina che non vuole dimenticare le proprie radici. Dalle 9.30 fino all’ora di pranzo, i partecipanti hanno potuto mettere le mani in pasta, osservare da vicino le fasi della lavorazione e riscoprire gesti antichi che, per molti, appartenevano ormai solo ai ricordi d’infanzia.
Al termine, il momento conviviale per eccellenza: una spaghettata collettiva, servita per tutti i presenti, che ha trasformato l’esperienza in festa, con il sapore semplice e autentico della salsa appena preparata.
Ogni ospite è tornato a casa con un grembiule Granofino e una bottiglia di salsa personalizzata, con inciso il proprio nome. Un modo concreto per portare con sé non soltanto un ricordo, ma il senso di appartenenza a una tradizione che rischia di scomparire, travolta dalla modernità e dai ritmi frenetici della vita quotidiana.
«È la nostra piccola battaglia per difendere i sapori veri e i prodotti del territorio» spiega Mario Ciulla. «La salsa della nonna non è solo un condimento, è un pezzo di memoria collettiva. Farla insieme, con le mani e con il cuore, significa custodire un valore che appartiene a tutti».
Un evento che si ripete ogni anno e che, ancora una volta, ha dimostrato come il cibo possa essere molto più di nutrimento: può diventare racconto, identità, comunità.
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