In tempi remoti, dove spumeggia il mare agitato,
Attorno alle rive della fertile Sicilia,
Sorgeva una città; dai poeti antichi celebrata;
Acragas un tempo, ma ora, chiamata Girgenti;
Dentro la valle, che si estende ampia verso il mare,
Dove eterna primavera detiene il suo gioioso regno,
I suoi templi vasti e le cupole splendenti brillavano,
E massicci piloni incombevano in pietra di Pario;
Colonne e archi maestosi lì si ergevano
Presso il blu profondo o dove l’Ipsa scorre;
Lì colline circolari le loro verdi cime innalzavano
E più in là ancora le altezze sicule apparivano.
Da una ripida scogliera coronata da fogliame ondeggiante,
In alto nell’aria una struttura gigante incombeva;
Su fiume e pianura l’ombra scura cadeva
Della cittadella di Agrigento.
Dentro le sue strade l’occhio del forestiero poteva scorgere
La severità del guerriero e la grazia dello studioso;
L’intrepido Terone e il destriero di guerra,
Il prigioniero carico e il carro rotolante;
Non tali erano essi, quando sulla loro verde pianura
I pastori erranti conducevano il loro gregge lanuginoso;
Quando i raccolti che maturavano sul fianco della montagna,
E dèi propizi, a tutti i loro bisogni provvedevano.
Quando per la prima volta una banda in cerca di bottino e fama,
Dalle mura di Gela, ad Agrigento giunse;
Qui, fabbriche eressero e mura di massiccia struttura,
E diedero a questa, l’antico nome di Acragas;
Dal limpido corso d’acqua che vaga sulla pianura
E spuma e scintilla verso il lontano mare.
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