
Spiega Wikipedia che “il termine polentone è un epiteto, originariamente coniato con una connotazione scherzosa per indicare un grande mangiatore di polenta e, successivamente, utilizzato dagli abitanti dell’Italia meridionale, per indicare in senso polemico gli abitanti dell’Italia settentrionale”
“Il Polentone” è anche il titolo che Michele Guardì ha dato al suo ultimo romanzo, in uscita da Baldini Castoldi, fresco di stampa. Un lavoro editoriale che era stato ampliamente annunciato durante l’estate e che adesso è arrivato in libreria. La trama è curiosa. Siamo all’inizio degli Anni Settanta, a Castroianni, un piccolo paese della Sicilia che, per mancanza di litio nell’acqua corrente, registra il più alto tasso di pazzi di tutta la provincia. Dal momento che la locale sezione della Democrazia Cristiana (ma il litio non c’entra) è sospettata di reggersi su un tesseramento fasullo, viene mandato da Roma il funzionario torinese Graziano Bobbio per indagare sui brogli. Presa dallo sconforto Rosalia Calì – la ricca e avida “Sindachessa”, che fino a quel momento ha gestito indisturbata una redditizia attività di mazzettara – per salvare la poltrona del segretario politico e con quella anche la sua, di sindaco, forzando la sua natura intrinsecamente frigida, si costringe a sedurre il polentone. Il piano funziona. L’imbroglio sul tesseramento viene coperto. E in meno di tre mesi i due convolano addirittura a nozze – complice anche la dote di novanta ettari di terreno, grazie alla quale “il polentone” conta di dimenticare il misero stipendio da funzionario. Ma le cose si complicano quando il novello “signor Calì”, per sfuggire alla insoddisfacente vita matrimoniale, si trasferisce in campagna, dove trascorre il tempo con Tatano, suo ex commilitone, e con Celestina, bella ventenne nota per le sue esagerate prodezze sessuali. E mentre tutti in paese cominciano a spettegolare sui loro rapporti, arriva il colpo di scena: “il polentone” è stato rapito e per pagare il riscatto la moglie dovrà scucire tutte le mazzette faticosamente conquistate a suon di appalti. Più che un romanzo, una commedia degli equivoci: esilarante per certi versi, dolceamara per altri, in cui due storie (quasi) d’amore si sovrappongono ingarbugliandosi. Ma anche il ritratto di un’Italia provinciale nella quale nessuno si salva, mentre ci si pone la sconvolgente domanda: come andrà a finire il rapimento?
Più che un romanzo, come si legge nella seconda di copertina, si tratta del ritratto di un’Italia provinciale nella quale nessuno si salva. Michele Guardì mette a confronto, nel suo libro, due mentalità profondamente diverse, nella storia d’Italia: “Un polentone stava ribaltando il mito della furbizia araba che a Castroianni, fino a quel momento, avevano ritenuto un caposaldo esclusivo del patrimonio genetico siciliano…”. Michele Guardì, regista e autore di alcuni format che appartengono ormai alla storia della Rai, a cominciare da “I fatti vostri”, il programma che da 33 anni non ha rivali nella fascia di mezzogiorno e che ha rappresentato un trampolino di lancio o la consacrazione definitiva per conduttori e giornalisti: da Fabrizio Frizzi a Giancarlo Magalli, da Alberto Castagna a Massimo Giletti fino a Salvo Sottile, adesso passa alla scrittura letteraria. Nato a Casteltermini, in provincia di Agrigento, ripete spesso di avere portato in televisione la piazza del suo paese, raccontando i “fatti” di cui si discute ogni giorno. E quella del libro è un’operazione per certi versi analoga, ovviamente con la necessaria avvertenza che ogni riferimento a fatti o persone realmente esistiti è puramente casuale. Un giallo che in alcune pagine sembra richiamare l’ironia e l’arguzia di un altro grande scrittore agrigentino e che, come lui, ha lavorato a lungo in televisione: Andrea Camilleri.
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