Nel capoluogo lombardo le pennellate di Giovanni Philippone narrano le suggestioni dell’entroterra agrigentino. Sarà il Centro Culturale di Milano ad ospitare dal 10 al 26 settembre una retrospettiva dedicata all’artista, originario di San Giovanni Gemini.
La mostra che vede il Patrocinio tra gli altri del Comune di Agrigento, raccoglie una trentina di oli e una decina di opere grafiche (disegni, acqueforti e chine), realizzati a partire dal 1950, che toccano tutti i temi della poetica dell’artista.
L’esposizione pensata in forma itinerante dalla figlia Stella, a 25 anni dalla scomparsa del pittore, ha già toccato San Giovanni Gemini, il paese che gli ha dato i natali, Agrigento che gli ha dedicato tre sale nel museo civico, e Palermo, dove Philippone frequentò l’Accademia di Belle Arti stringendo amicizia con le personalità artistiche di quel particolare periodo.
Dopo le prime tre tappe siciliane, l’esposizione approda quindi a Milano, città che il pittore scelse come luogo d’elezione nel 1946 e l’abbandonò solo dal 1950 al 1952 per trasferirsi a Parigi ( dove la mostra si sposterà per l’ultima tappa in programma). Qui frequentò i corsi di Fernand Léger all’Académie des Beaux-Arts.
Un percorso espositivo che prende avvio dai paesaggi siciliani, impressi indelebilmente negli occhi di Philippone durante la giovinezza, caratterizzati da alberi di ulivo contorti, capre giurgintane e cavalli quasi in un tempo sospeso.
A questi soggetti si affianca la rappresentazione dell’universo femminile, espresso nelle figure materne che allattano e nei nudi carichi di sensualità delle “dure veneri terrestri”, come le definì Leonardo Sciascia nel 1981. Il terzo nucleo di opere è dedicato al viaggio, metafora della vita, che si incarna nei marinai, ritratti con pennellate intinte nell’espressionismo e nel cubismo, ma anche nel Cristo inchiodato alla croce, simbolo della dolorosa parabola umana.
Di lui Leonardo Sciascia scrisse : «Ci sono poi le facce: dei contadini, delle donne contadine e,starei per dire, degli alberi: quei mandorli dai tronchi contorti e spaccati che sembrano sopravvissuti a un incendio. E l’incendio c’è, ed è quello dell’estate. Philippone ne coglie il riverbero negli interni, sui corpi delle dure veneri terrestri»
Maria Rosso