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Home » L’angolo di don Diego » Il grido di Giovanni Paolo II contro la mafia: un messaggio di vita e giustizia

Il grido di Giovanni Paolo II contro la mafia: un messaggio di vita e giustizia

Redazione Di Diego Acquisto
10 Maggio 2024
in L’angolo di don Diego
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Si tratta del grido di Giovanni Paolo II nel pomeriggio di quel  9 maggio 1993. Ecco le parole precise: “Dio ha detto una volta: non uccidere ! Non può l’uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e  calpestare questo diritto santissimo di Dio ! Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, un popolo attaccato alla vita, un popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere  sempre sotto la pressione di una civiltà contraria , civiltà della morte. Qui ci vuole  la civiltà della vita !  Nel nome di questo Cristo Crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via, verità e vita. Lo dico ai responsabili: Convertitevi !  Una volta , un giorno, verrà il giudizio di Dio !”

Un messaggio ed un  grido  per tutti! direttamente  rivolto ai responsabili, e soprattutto ai boss della mafia, proprio a conclusione dei due giorni di presenza in terra agrigentina, del grande Pontefice Santo, Giovanni Paolo II.

Un grido che  vogliamo  ricordare   a 31 anni di distanza, quando, – come proprio oggi, 10 maggio – tutti i giornali lo riportavano, con generale soddisfazione. E  per questo lo abbiamo voluto trascrivere  integralmente .

Quel grido allora, in pochissimo tempo,  ha fatto il giro del mondo scuotendo le coscienze . Quel grido – devo confessarlo –  soprese anche chi scrive,  che si  trovava allora, partecipando alla concelebrazione, solo  a qualche  metro di distanza e, che quindi, ha potuto anche  raccogliere al vivo qualche   sensazione da parte delle persone vicine. Persone che magari con qualche parola commentavano l’atteggiamento del Papa visibilmente teso ! una tensione che faceva chiaramente capire che quel grido al Papa gli era sgorgato proprio dal cuore.

E  accanto al Papa, da un lato c’era l’allora vescovo Mons. Carmelo Ferraro, mentre dall’altro lato c’era il Cardinale  di Palermo Salvatore Pappalardo.  Che, ultimo, poco più di quattro mesi dopo avrebbe presieduto i funerali del Parroco di Brancaccio Padre Pino Puglisi. Durante i quali, in consonanza ideale con quel grido papale,  avrebbe ancora ricordato che “chi è mafioso si pone da solo fuori dalla Chiesa” perché “non basta per dirsi cristiano imbottirsi le tasche di santini”. Ciò con evidente riferimento a quei boss, le cui tasche, dopo l’arresto erano state  trovate piene di immaginette della Madonna e di Santa Rosalia. “Questo ‑  precisava il cardinale ‑ faceva intendere Don Puglisi e fu proprio tale catechesi, proposta particolarmente ai giovani, a non essere gradita” ed a provocare la sua barbara eliminazione, di un sacerdote dedito specialmente alla pastorale giovanile, educando.

 E sempre il Card. Pappalardo,  in altra occasione, sempre in occasione di funerali di mafia, durante i quali – per esempio – già nel 1982, per il funerale di Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva parlato di “Sagunto espugnata, mentre a Roma si discuteva”, così  come Palermo che in questo caso era Sagunto.  E  dopo il  famoso grido papale del  1993,  in occasione di altri funerali di morti per mafia,   ricordando quel grido nella Valle, così ha avuto modo di ricordare quel grido papale,  proprio  Lui che era accanto al Papa: “Fui contento e grato quando la voce del Santo Padre si levò a confermare e rafforzare quanto i vescovi di Sicilia, da tempo, dicevano e scrivevano, sull’irriducibile contrasto tra le azioni dei mafiosi e il dettato della Fede e della prassi cristiana, richiamandoli non a un pentimento strumentale ma a una vera “conversione”.

Parole anche queste che credo  siano oggi pure da richiamare alla memoria , mentre in questi giorni, forse una certa fascia di opinione pubblica, pare che teme qualche possibile rigurgito di violenza mafiosa. Perciò forse non è fuor di luogo ricordare, che non per spirito di vendetta, ma per esigenza di giustizia, le punizioni, serie finalizzate alla rieducazione,   devono essere seriamente applicate,  per la tutela del bene comune. E forse è pure necessario precisare che la conversione a cui vengono invitati i mafiosi, non prescinde mai dall’accettazione della giustizia umana. Anzi, pur nell’auspicabile sincero pentimento, si devono accettare le pene, proprio come segno  di autenticità dello stesso e di sincero desiderio di riconciliazione con la collettività.

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