
Dal balcone della sua casa di Alcamo, dove si trovava ristretto agli arresti domiciliari, l’imprenditore in odor di mafia Vito Nicastri forniva indicazioni ai suoi soci su progetti e affari legati al ricco business dell’energia. Nell’inchiesta delle procure di Palermo e Roma che fa tremare i palazzi del potere, un capitolo è dedicato alle intercettazioni dei colloqui tra Paolo Arata, professore genovese con un passato da parlamentare di Forza Italia definito dai magistrati un «faccendiere», e Nicastri, il «re dell’eolico» al quale è stato confiscato un patrimonio da un miliardo di euro, entrambi indagati per corruzione e intestazione fittizia aggravata dall’avere agevolato la mafia. I due, aiutati nel portare avanti le operazioni dai rispettivi figli, Francesco e Manlio, anch’essi sott’inchiesta, sarebbero stati soci occulti in diverse aziende. Arata, grazie al suo giro di conoscenze e alle sue alte relazioni istituzionali, avrebbe brigato per condurre in porto un business milionario con gli impianti energetici, avrebbe incontrato assessori regionali e corrotto funzionari pubblici per ottenere le autorizzazioni. Avrebbe fatto sponda anche sul sottosegretario leghista Armando Siri, anch’egli indagato per corruzione, al quale sarebbero stati promessi 30 mila euro in cambio del suo interessamento su alcuni profili normativi. L’esponente del governo ha respinto con forza le accuse e ha detto di «non avere preso un cent, di non entrarci nulla con questa storia».
L’articolo a firma di Virgilio Fagone in edicola sul Giornale di Sicilia di questa mattina.
Gli investigatori della Dia, al lavoro su carte e file sequestrati nei giorni scorsi in aziende e uffici pubblici, hanno registrato in più di un’occasione i colloqui e gli incontri tra gli Arata e i Nicastri. Episodi documentati con intercettazioni, riprese video e fotografie