“E allora, Duttù, ne vale la pena”? Siamo sull’uscio di una delle sale del Ciak, dopo la proiezione de “Fino alla fine” di Muccino. La domanda me la pone un mio caro amico, che tiene la mano sulla spalla della moglie, ed è in fila per la successiva proiezione. Per niente, esclamo! Ogni tanto, anche i campioni steccano.. Ormai, vedilo, che vuoi fare, poi mi dirai la tua opinione. È la risposta che, credo, lo stesso Muccino avrebbe scherzosamente dato. Invece il film è un sontuoso thriller drammatico, con un filo conduttore: l’imprevedibilità della vita e la voglia di viverla comunque, in ogni caso, in ogni circostanza, contro ogni destino, prendendola quasi a pugni, stringendola forte tra le mani. Eh si, perchè la vita disegna sempre dei tracciati imprevedibili, anche quando le scelte si fanno con massima consapevolezza, si maturano con decisione perentoria. Non sai mai ciò che ti attende. È come una scatola di cioccolatini, direbbe qualcuno… Nel film, è come una partita a biliardo, dove tra birilli, palline e stecche, c’è un mondo di probabilità di far punti o meno, di vincere o di buttar in buca la palla. Muccino si diverte dietro la sua telecamera, a scaraventare i suoi protagonisti dentro un vortice d’azione, dove ogni attimo é un film nel film, dove mai puoi immaginare ciò che accade un minuto dopo. C’è una sequenza di eventi drammatici, talvolta solcati da qualche venatura quasi comica (un po’ come la vita…), che travolge la giovane americana, protagonista del film. Finita a Palermo per uno scalo aereo, in meno di 24 ore, è come se di vite ne avesse vissute, due, tre o forse quattro, in un crescendo di suspence, creato con il suo magistrale talento, dove il punto fermo è l’amore che la travolge e la trascina. E così, la giovane californiana, si ritrova a… VIVERE un’esperienza assurda, di quelle che la vita, con sapore agrodolce, sempre può proporre. E quello che doveva essere un brevissimo pit-stop nel capoluogo siciliano, prima di rientrare in America, le scompone e le ricompone la vita, insieme agli altri protagonisti, che la vita, invece, la perdono, in quel giorno infinito trascorso con lei. L’attrice, bella e brava, passa dai tuffi spericolati di Mondello, alla droga, all’alcool, ai suoni estenuanti delle discoteche, entrando in pieno nelle turbolenze malavitose del gruppo di persone che frequenta, fino ad impugnare una pistola, partecipare ad una rapina, etc etc… Gli accadimenti sfuggono financo al suo controllo, “colpita” da un sentimento avvolgente per Giulio, uno del branco, e soprattutto dalla voglia di vivere pienamente la sua vita, lei che era stata più di 15 anni dentro un Conservatorio, tra pianoforte, note musicali e competizione con le sue colleghe. Muccino disegna, ancora una volta, un monumento all’amore puro, irrazionale, passionale, incastonato in un tubinìo di avvenimenti. Sempre acuto nei dettagli, nella sceneggiatura, nella scelta del cast, nelle musiche. Il film, in fondo, sembra l’ennesimo tassello del puzzle che rappresenta tutta la sua spettacolare produzione cinematografica, che esalta il suo letimotiv: amori, rivolte, esagerazioni, emozioni e Vita, tanta Vita, come un’onda travolgente che si affronta con tenacia, con l’entusiasmo contagioso dei giovani, e con passione, tanta passione, la stella polare di Gabriele Muccino. E così, faccio “scorrere” un’ora e mezza di proiezione, tra un “giro” sui social, mezzo sigaro acceso ed una recensione sul film (questa che avete testè letto), ed in modo beffardo chiamo il mio amico al telefono e chiedo: “Allora, hai visto che anche i campioni steccano?” La risposta arriva dopo una pausa di qualche secondo. È insicura, stranita… “Ma hai davvero visto …Fino alla fine?”
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