È siciliano uno dei personaggi più in vista della televisione italiana. Stiamo parlando del regista Michele Guardì nato a Casteltermini, paese minerario dell’entroterra agrigentino che custodisce la croce di legno più antica del mondo (dopo quella di Cristo).
Michele Guardí 79 anni compiuti da poco, da 32 alla guida de “I fatti vostri” il programma più popolare e longevo della storia della televisione italiana nella fascia di mezzogiorno, è sempre fiero delle sue origini che ricorda in ogni occasione importante.
Lo ha fatto anche in occasione del premio Biagio Agnes, riconoscimento speciale che gli è stato attribuito le scorse settimane a Roma nella prestigiosa cornice del Campidoglio.
Come ogni anno anche quest’anno è tornato in Sicilia dove trascorrerà le vacanze tra Agrigento e Casteltermini con la famiglia e i nipotini.
-La sua attività pubblica è iniziata come corrispondente da Casteltermini per il nostro giornale, “La Sicilia”. Sognava forse di fare il giornalista invece è diventato “l’ uomo della televisione”…
“Non avevo ancora compiuto 18 anni – dice. – Adesso posso svelarlo. All’epoca mi sono inventato qualche mese in più sulla mia data di nascita per avere quella “tessera stampa” da corrispondente de “La Sicilia”, che con tanto amore conservo ancora sulla mia scrivania!”.
– Che cosa si prova ritornare, che cosa significa per Michele Guardì, il tornare in Sicilia?
“Quando mi chiedono cosa provo quando ritorno in Sicilia rispondo sempre ironicamente che provo a restare e a non tornare più indietro! Detto seriamente avverto invece quella serenità che dopo una giornata di lavoro, sento la sera, rientrando a casa mia”.
– Vivendo da sempre a Roma, quale immagine all’esterno viene fuori, oggi, della Sicilia?
“L’immagine, fortunatamente, è sempre meno quella scioccamente folkoristica delle coppole e dei marranzani. Vedendo il giusto risalto che la stampa sta dando al ritrovamento del teatro ellenistico romano nella Valle dei Templi di Agrigento, ad esempio, mi rallegro nel valutare che anche il bene, per quanto riguarda la nostra Isola, può fare notizia”.
– Come trova la Sicilia, tutte le volte che ritorna?
“Negli anni passati notavo che rispetto all’anno precedente mancava qualche cosa. Adesso diciamo che la trovo stabile. E’ già un buon passo avanti. C’è però, qualche caso singolo che mi amareggia. Un esempio: ormai da una anni sulla statale Agrigento – Palermo, in prossimità dello svincolo per Sutera, a pochi chilometri dalla Città dei Templi. c’è un ponte che ha ceduto per una corsia. Anziché ricostruirlo come la comune logica avrebbe dovuto suggerire, la società stradale che ne è responsabile ha incredibilmente posto rimedio piazzando un doppio semaforo che consente il passaggio alternato sulla sola corsia rimasta peraltro malamente agibile. Dei miei amici americani che stavo accompagnando all’aeroporto, dopo la visita alla Valle che li aveva letteralmente strabiliati, fermi con me a quel semaforo, non riuscivano a capire come possa essere possibile che una statale che porta al più grande patrimonio archeologico del mondo, sia servita da strutture stradali così insensatamente sconnesse. Da dieci anni! Credo che le autorità della provincia abbiano il dovere di intervenire perché si ponga fine a questo inammissibile sconcio. Non mi è mai piaciuto il ruolo del meridionale piagnone. Ma sono certo che altrove quel ponte sarebbe stato già messo a posto. Anche noi paghiamo le tasse esattamente come le pagano “altrove” per godere dei servizi che lo Stato “ci deve”!
– Cosa invece non sopporta della Sicilia?
“In casi come questo, la rassegnazione. E poi mi disturba quando qualcuno fa sfoggio di una furbizia sfrontata, considerandola qualcosa di cui vantarsi. Una sciocchezza che mortifica la nostra identità. Non a caso ne “Il polentone” il mio nuovo romanzo che uscirà a gennaio, ho dato il ruolo del protagonista ad un settentrionale che, zitto zitto, ribalta il mito della furbizia araba, da qualcuno ritenuto un caposaldo esclusivo del patrimonio genetico siciliano. Alla furbizia sopraffattoria, ho sempre preferito la nostra intelligenza sottile e creativa. Quella si. È un bel patrimonio del nostro Dna”.
-Che cosa apprezza, maggiormente, di noi siciliani?
“Lo dicevo: l’intelligenza. L’intelligenza creativa che ci aiuta a riempire i vuoti lá dove qualcosa manca. Non dimentichiamo che la Sicilia è la terra di Archimede di Empedocle di Pirandello …. E poi apprezzo la generosità. Il nostro popolo è generoso. Ne ha dato prova nei momenti più difficili. A proposito della generosità isolana Andrea Camilleri ha ricordato che quest’ultima ha origini antiche citando Gellia, il munifico signore che dispensava aiuti e sussidi ai bisognosi e accoglieva nelle proprie case gli stranieri che arrivano da lontano dopo viaggi pieni di pericoli”.
– A proposito dei suoi nuovi lavori, a ottobre porterà in scena una sua nuova commedia: “Il caso Tandoj”. Racconta di un delitto avvenuto nella Sicilia negli Anni Sessanta e che può essere considerato un caso di cattiva giustizia isolana che ha tenuto ingiustamente in carcere per nove mesi un grande professionista appartenente ad una delle più importanti famiglie siciliane dell’epoca.
“In realtà si è trattato di un clamoroso errore giudiziario ascrivibile ad un singolo magistrato. Ma è proprio la giustizia stessa che mette a posto le cose, perché un altro magistrato siciliano, mandato da Palermo a riaprire il caso, scopre le ragioni dell’omicidio, ne individua i colpevoli e li fa condannare, Vede, quando si racconta qualcosa che riguarda la nostra terra siamo portati spesso ad autoflaggellarci. Ed io in questo caso ho voluto rendere onore alla verità. Che è tale indipendentemente dai luoghi nei quali i fatti accadono.”
– Andrea Camilleri, il Maestro, sosteneva che “siciliani si nasce”, ma non lo si può diventare. Lei è d’accordo con questa affermazione?
“Camilleri ha detto una verità incontrovertibile. La cultura, la nostra storia, il dialetto, il clima ci forgiano come in nessuna altra parte del mondo può avvenire”.
– Secondo lei, oggi per un giovane è ancora necessario emigrare, per riuscire ad affermarsi?
“Ci sono delle attività che si possono solo svolgere in luoghi deputati. In quel caso non parlerei di emigrazione. Penso a chi, come me, sceglie di entrare nel mondo della televisione.
Per il resto sono però fiducioso che in un futuro prossimo si possano creare le condizioni perché un buon posto di lavoro si possa trovare in una delle nostre province”.
-Che cosa augura alla Sicilia in un prossimo futuro?
“Una sempre maggiore forza di alzare la testa. E di non pretendere dagli altri, quello che possiamo e dobbiamo fare da soli. Dobbiamo. Perchè ne siamo capaci!”
LORENZO ROSSO
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