San Vito libera la bellezza: l’ex carcere diventa fucina di idee – VIDEO
C’erano una volta i cancelli sbarrati, il silenzio pesante e le storie chiuse tra le celle. Oggi, a San Vito, il rumore è quello delle idee che prendono forma, dei passi leggeri di chi entra con rispetto e meraviglia in un luogo che torna a respirare, e lo fa con tutta la forza di un progetto collettivo. A trent’anni dalla sua chiusura, l’ex carcere di Agrigento si rigenera. E non lo fa in sordina: lo fa con visione, con coraggio, con la bellezza.
È un potente tassello di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025. Ma più che un tassello, è un cortocircuito narrativo: il simbolo della reclusione diventa simbolo di libertà creativa. Dove c’erano detenuti e sofferenza, ora ci sono studenti internazionali del Politecnico che immaginano pareti d’acqua, orti urbani, spazi teatrali e playground per bambini. Tutto in una sola parola: futuro.
Questa mattina, l’immagine ha il sapore del riscatto. L’ultimo secondino ha riconsegnato le chiavi, raccontando storie che si sono incise sulle pareti. Poi è stato un continuo via vai: ex detenuti, ex agenti, figli di ex direttori. Nessuna nostalgia, piuttosto una catarsi collettiva.
Florinda Sajeva, anima e motore di Farm Cultural Park, annuncia l’inserimento del progetto sulla piattaforma Art Bonus: si punta a intercettare fondi ministeriali, ma soprattutto a costruire una comunità che adotti questo spazio e lo accompagni nel cambiamento.
“Abbiamo creduto da subito in questo luogo – spiega – ma è solo aprendolo, solo ascoltandolo, che abbiamo capito la sua potenza”. Diciassette progetti, diciassette sguardi sul mondo. Ognuno porta con sé una soluzione, una suggestione, una ferita che prova a diventare bellezza.
Il sindaco Franco Miccichè rivendica l’orgoglio di aver creduto in questa apertura: “È un gesto che pesa e che vale: non solo restituiamo un bene alla città, ma lo facciamo in nome della cultura”. E Giuseppe Parello, direttore di Agrigento2025, rilancia: “Questo è il nostro modello: un progetto che parte dal basso, che include, che resta. Non vogliamo che la Capitale sia una parentesi: vogliamo che sia un metodo”.
Così, tra le cicatrici della pietra, sbocciano fiori. E le scritte sui muri diventano installazioni, le sbarre si trasformano in supporti per l’arte, i corridoi in corridoi di senso. Nessun finto restyling, ma una rinascita ruvida e vera, come solo certe città sanno fare quando smettono di voltarsi dall’altra parte. San Vito oggi è una ferita che si fa visione. E Agrigento, ancora una volta, dimostra che la cultura non è un premio da esibire, ma un atto di coraggio da condividere.
E pensare che un tempo qualcuno aveva proposto di abbatterlo per farci un parcheggio. E che dopo il trasferimento nel nuovo carcere di contrada Petrusa, nessuno aveva saputo immaginare una destinazione per questa struttura demaniale. Si parlava di milioni per ristrutturarlo, si ipotizzava una riconversione, magari come quella pensata dagli studenti milanesi. Ma ciò che davvero serviva – e che è finalmente accaduto – era riaprire la porta e riempirlo di nuova luce, riempirlo di persone e di idee.




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