Il territorio agrigentino sta affrontando una delle più gravi emergenze idriche della sua storia recente, mettendo in ginocchio il settore agricolo proprio mentre la città si prepara a celebrare il suo ruolo di Capitale italiana della Cultura 2025. Un contrasto stridente che evidenzia le profonde criticità infrastrutturali della regione.
Mimmo Palumbo Responsabile cooperativa agricola Palumbo Più ha espresso di recente le sue preoccupazioni in un post sulla pagina facebbok dell’azienda: Desidero esprimere la mia profonda preoccupazione riguardo alla drammatica situazione delle risorse idriche nella provincia di Agrigento, in particolare in relazione alla chiusura dell’erogazione dell’acqua da parte del Consorzio di Bonifica n. 3. Agrigento. Questa decisione, motivata dalla condizione di invasi vuoti nelle dighe San Giovanni e Furore, sta mettendo a serio rischio la sopravvivenza delle aziende agricole della nostra provincia. È inaccettabile che, in un periodo di crisi idrica così acuta, le uniche speranze per il rifornimento idrico siano riposte nelle piogge, che non sempre sono sufficienti a garantire la continuità delle attività agricole. Le nostre terre, che da sempre rappresentano un patrimonio prezioso per la Sicilia, stanno affrontando una situazione insostenibile e i nostri governatori sembrano non prestare la dovuta attenzione a questo problema. Le aziende agricole, da Villaggio Mose a Palma di Montechiaro, sono in pericolo di collasso a causa della mancanza di acqua, risorsa fondamentale per la loro attività. È fondamentale che le istituzioni locali e regionali si attivino immediatamente per trovare soluzioni alternative e sostenibili per la gestione delle risorse idriche, promuovendo investimenti in infrastrutture e tecnologie che possano garantire un approvvigionamento costante e sicuro. Chiedo pertanto un intervento urgente da parte delle autorità competenti affinché si possa affrontare questa crisi con la serietà e l’urgenza che merita, prima che sia troppo tardi. La salvaguardia del nostro patrimonio agricolo e la sicurezza delle comunità locali devono diventare una priorità”.
Emergenza Idrica: Un Sistema al Collasso.
Le dighe San Giovanni e Furore, che servono un’ampia area comprendente i comuni di Agrigento, Canicattì, Naro, Favara, Palma di Montechiaro, Castrofilippo e Campobello di Licata, sono in una condizione critica.
Impatto Devastante sul Settore Agricolo
Le conseguenze di questa crisi sono già visibili e potrebbero diventare catastrofiche per l’economia locale. I numeri parlano chiaro:
250.000 piante di melone retato, prodotto di eccellenza della zona, non potranno essere trapiantate
La produzione dell’uva da tavola di Canicattì, in particolare la pregiata varietà Vittoria, rischia un drastico ridimensionamento
Si prevede una riduzione di circa 1 milione di piante tra peperoni e zucchine per la stagione 2025/2026
La Voce dei Produttori
La fascia territoriale che comprende Favara, Villaggio Mosè e Palma di Montechiaro è particolarmente colpita. Gli agricoltori locali, custodi di una tradizione agricola d’eccellenza, si trovano nell’impossibilità di pianificare le loro attività. La mancanza di precipitazioni significative ha aggravato ulteriormente una situazione già critica per le infrastrutture idriche obsolete.
Un’Emergenza Prevedibile
La crisi attuale non è il risultato di un evento improvviso, ma piuttosto il culmine di anni di gestione inadeguata delle risorse idriche e di mancata modernizzazione delle infrastrutture. Il progetto di interconnessione degli invasi siciliani, che avrebbe potuto mitigare il problema attraverso una redistribuzione più efficiente delle risorse, è rimasto sulla carta.
Prospettive e necessità di intervento
La situazione richiede un intervento immediato su più fronti:
Misure di emergenza per garantire l’approvazione idrica nel breve termine
Investimenti strutturali per l’ammodernamento del sistema idrico
Sviluppo di strategie di gestione sostenibile delle risorse idriche
Supporto economico alle aziende agricole colpite dalla crisi
Il paradosso di Agrigento Capitale della Cultura 2025 rischia di trasformarsi in un’amara testimonianza della disconnessione tra le celebrazioni istituzionali e le reali necessità del territorio.
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