Otto ore di treno per percorrere pochi chilometri di Sicilia. Una domanda semplice, quasi ingenua, che arriva da un ospite asiatico: «Direttore, davvero servono sette, otto ore per arrivare?». La risposta è sì. E in quella risposta, che pesa come un macigno sulle infrastrutture, si gioca una delle grandi contraddizioni dell’isola. Ma anche – paradossalmente – una delle sue narrazioni più riuscite: lo slow tourism.
Perché mentre il tempo dei collegamenti sembra fermo, qui il tempo ha imparato a diventare valore. Lo capisci entrando nella Hotel Villa Athena, varcando la soglia della sua stanza più iconica: la Suite 205, oggi ribattezzata Villa Suite. Non una camera, ma un punto di osservazione privilegiato sull’eternità.
Ceramiche originali di fine Ottocento, maioliche siciliane, un salotto ampio con vasca idromassaggio, una camera da letto king size con tutti i comfort, un bagno che dialoga con l’idea stessa di benessere. Ma tutto questo è solo cornice. Il cuore è altrove. È lì, oltre la vetrata. Dormire con il Tempio della Concordia come vicino di casa, illuminato tutta la notte, presente, immobile, vivo. Una visione che non si spegne mai.
Al mattino la colazione diventa un rito sospeso: terrazza aperta sul Parco archeologico, lo sguardo che scivola tra colonne millenarie e silenzi pieni. La sera, la stessa terrazza si trasforma in sala per cene private, faccia a faccia con quello che Roberto Principato definisce senza esitazioni «un paradiso terrestre».
La stagione, racconta il General Manager, è stata straordinaria. Dopo un avvio prudente, da agosto in poi l’hotel ha viaggiato a pieno ritmo, con un’occupazione che sfiora l’80% durante le festività. Una clientela sempre più internazionale – Asia, Giappone, Cina – che prolunga il soggiorno fino al Capodanno cinese. E poi il Natale, il Capodanno, il brunch del primo gennaio, i menu firmati dallo chef Max Ballarò: l’idea di un lusso che non ostenta, ma accompagna.
E intanto, fuori dai cancelli, resta la sfida più grande. «L’ospite va coccolato anche oltre l’hotel», dice Principato. Città più pulite, servizi migliori, collegamenti efficienti. Perché non si può sempre chiedere al visitatore di trasformare una mancanza in poesia. O forse sì, almeno per ora. «Oggi lo chiamiamo slow tourism – sorride – gli diciamo: qui non si corre. Guardi il mare, la costa, il paesaggio. E alla fine, torna contento».
In questa stanza, intanto, è passato il mondo. Set televisivo di Makari, citata dal New York Times tra le camere più belle al mondo, scelta da artisti e protagonisti della cultura. Da Claudio Baglioni alla famiglia di Belen Rodríguez, fino al Cavaliere Berlusconi. Un via vai discreto, senza clamore, come si addice ai luoghi che non hanno bisogno di presentazioni.
Otto ore di treno, sì. Ma poi accade questo: arrivi, apri la finestra, e capisci che il tempo – quello vero – qui non è mai andato via. E forse è proprio su questo equilibrio fragile, tra lentezza subita e bellezza assoluta, che Agrigento continua a giocarsi la sua partita più affascinante.
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