Il Procuratore Generale di Palermo ha chiesto la condanna nei confronti dei sei imputati coinvolti nell’inchiesta “Ponos”, che nel novembre del 2019, ha fatto scattare otto fermi, eseguiti dai carabinieri del Comando provinciale di Agrigento, e del Nucleo ispettorato del lavoro di Villaggio Mosè, nell’ambito di un’indagine su un’associazione a delinquere, che avrebbe sfruttato lavoratori nei campi agrigentini, soprattutto tra Canicattì, Campobello di Licata e Ravanusa.
Chiesta la conferma della sentenza di primo grado del Gup del Tribunale di Palermo, Rosario Di Gioia: 7 anni e 10 mesi di reclusione aVera Cicakova, 60 anni; 7 anni e 4 mesi alla figlia Veronika, 38 anni; 2 anni e 4 mesi per Emiliano Lombardino, 47 anni, di Agrigento, residente a Porto Empedocle; 3 anni a Giovanni Gurrisi, 42 anni, di Agrigento; 3 anni per Neculai Stan, 62 anni, rumeno, residente a Campobello di Licata; 1 anno e 4 mesi a Rosario Burgio, 43 anni, di San Cataldo, domiciliato ad Agrigento. Un settimo imputato, Rosario Ninfosì, 52 anni, di Palma di Montechiaro, aveva patteggiato la pena a 2 anni di reclusione.
Il processo è in corso di svolgimento davanti la seconda sezione della Corte di Appello di Palermo. Il 30 settembre la parola passerà alla difesa composta dagli avvocati Daniele Re, Michele Musotto, Salvatore Loggia, e Giovanni Pace. Nell’inchiesta è coinvolto anche Vasile Mihu di 44 anni, che ha scelto, invece, di essere processato con il rito ordinario. L’operazione, in un primo momento coordinata dalla Procura di Agrigento, e in seconda battuta è finita alla Dda di Palermo.
Vi sarebbe stato un meccanismo di permessi turistici sfruttati per fare arrivare i lavoratori, soprattutto dall’Est Europeo, che venivano poi privati del passaporto, alloggiati in case procurate dalla stessa organizzazione. L’orario di lavoro era di circa 12 ore al giorno, di cui buona parte notturno: iniziavano alle 3 del mattino, e proseguivano fino alle 17, talvolta anche fino alle 19. Le paghe erano di circa 30 euro lorde al giorno.
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