Sono oltre quattrocento immobili, terreni e ottantaquattro aziende sottratti ai clan, beni che, se rigenerati, potrebbero generare lavoro, servizi e nuovi presìdi sociali. Eppure, più della metà giace ancora inutilizzata. La proposta di sinergia pubblico-privato varata dal nuovo prefetto di Agrigento Salvatore Caccamo, durante l’intervento al congresso della CNA punta proprio a colmare quel divario tra potenzialità e realtà, trasformando un problema storico in trampolino di sviluppo.Chi passeggia tra le vallate di ulivi o nei quartieri popolari di Agrigento incrocia fabbricati semivuoti, magazzini sprangati, terreni incolti. Ognuno racconta una storia antica di affari illeciti e violenza, ma custodisce anche la possibilità di diventare spazio culturale, laboratorio artigianale, ostello sociale o cooperativa agricola biologica. A confermarlo sono i numeri dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati: il cinquanta per cento dei beni assegnati alla La linea della Prefettura agrigentina è chiara: «Il riutilizzo dei beni confiscati alla mafia non può restare un fatto burocratico, dev’essere un motore economico condiviso da Stato, imprese e terzo settore».
Il Segretario Generale della CGIL di Agrigento, Alfonso Buscemi, in un comunicato stampa dichiara di condividere la proposta avanzata dal Prefetto di Agrigento, Salvatore Caccamo, durante l’intervento al congresso della CNA, sulla necessità di costruire una sinergia forte e strutturata tra enti pubblici, associazioni, mondo del lavoro e imprese sane per l’utilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata.“La proposta del Prefetto Caccamo va nella direzione giusta e risponde a un’esigenza fondamentale: restituire questi beni alle comunità, trasformandoli in presidi di legalità, sviluppo e inclusione,” ha dichiarato Buscemi. “La CGIL di Agrigento la fa propria e si impegna a rilanciarla con forza all’interno di tutti i tavoli istituzionali e sociali in cui è presente.”
E aggiunge: “Non possiamo permetterci che questi beni restino inutilizzati o, peggio, tornino nell’orbita del malaffare. Servono volontà politica, strumenti operativi rapidi e un’alleanza ampia tra istituzioni, sindacati, associazioni del terzo settore e imprese etiche,” ha aggiunto Buscemi. “Come CGIL siamo pronti a fare la nostra parte, anche attraverso il coinvolgimento diretto dei lavoratori e delle cooperative sociali.”
La CGIL di Agrigento ritiene utile il rilancio voluto dal Prefetto del Tavolo Provinciale Permanente sulle aziende sequestrate e confiscate presso la Prefettura per coordinare le progettualità esistenti e stimolarne di nuove, coinvolgendo attivamente tutti i soggetti interessati.“Costruire legalità significa creare opportunità e lavoro vero. È questa la sfida che abbiamo davanti: trasformare ciò che è stato simbolo di oppressione mafiosa in strumento di rinascita e dignità per il nostro territorio attraverso la Legge 109/96,” ha concluso Buscemi.
Ricordiamo che nel 1996 il Parlamento approvò la legge 109, frutto di un milione di firme raccolte dall’associazione Libera. Prima di allora i beni confiscati restavano spesso bloccati in un limbo giudiziario o venivano messi all’asta, talvolta ricomprati da prestanome mafiosi. Con la 109 si è stabilito che lo Stato li destini a uso sociale, affidandoli gratuitamente a Comuni, Province o realtà del terzo settore. Il passo successivo è del 2010, quando nasce l’Agenzia nazionale che oggi gestisce l’albo ufficiale e monitora gli interventi.La norma funziona, ma si scontra con farraginosità amministrative. Il passaggio dal sequestro alla confisca definitiva può richiedere anni; gli enti locali spesso non dispongono di progettisti né di fondi per la manutenzione.
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