Suscita polemiche, perplessità e curiosità la notizia che riferiscono oggi tanti giornali sulla tessera punti per essere ammessi alla Prima Comunione e Cresima, richiesta dal parroco di una parrocchia del Nord-Italia nel Comasco. Una tessera di fedeltà al Signore che impegna sia il ragazzo che i suoi genitori a prendere con serietà il cammino di preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. Un cammino liberamente scelto – si sottolinea – e che quindi se non accompagnato dalla presenza ad almeno i 2/3 degli incontri, non sarà possibile ogni anno essere ammessi al cammino dell’anno successivo, con tutte le comprensibili conseguenze per l’ammissione ai Sacramenti della Confessione, della Prima Comunione e della Cresima, che sono i tre sacramenti che dopo il Battesimo completano e perfezionano l’iniziazione cristiana. Sicuramente comprensibili i motivi, che hanno indotto questo parroco a questa drastica decisione, sicuramente frutto delle migliori intenzioni e finalizzata al bene . Ma, a parte le battute ironiche sulla “Parrocchia card” che accumula i punti imitando le campagne di fedeltà spesso lanciate dai supermercati, e comprendendo il fastidio e anche una certa rabbia dei genitori, l’iniziativa sicuramente discutibile, invita a riflettere su problemi forse ancora più importanti che stanno a monte di tutto. Anzitutto – a mio parere – che la gestione pastorale di una parrocchia non è problema solo del Parroco su cui vedo che, in questa occasione, si concentra unicamente tutta l’attenzione . Il Codice di Diritto Canonico e le disposizioni diocesane attuative, se per un verso dicono che il Parroco-pro tempore è il legale rappresentante dell’ente-parrocchia, indicano pure il dovere di costituire il Consiglio Pastorale Parrocchiale, che è l’organismo di corresponsabilità. Perché la parrocchia è essenzialmente una Comunità di sorelle e fratelli, impegnati a realizzare anzitutto la comunione piena per la costruzione del Regno di Dio. Nel Consiglio Pastorale presidente di diritto è il parroco, ma c’è pure un coordinatore. Mentre nel caso citato la stampa parla solo di una decisione del parroco, credo si debba pure chiedere quale ruolo ha avuto e che cosa ne pensa il Consiglio Pastorale in questa decisione. Per il momento, dalla stampa sappiamo solo come risponde il Parroco che, meravigliato dello scalpore, dice “nessuno ha problemi ad accettare che se un ragazzo non partecipa agli allenamenti di calcio in settimana, poi la domenica non può giocare la partita. Perché il catechismo non dev’essere preso altrettanto seriamente? Oggi più che mai la fede è una scelta, che nasce da una convinzione e cresce gradualmente, anche grazie alle buone abitudini”. La risposta non fa sicuramente una grinza, ma i problemi comunque restano perché per l’evangelizzazione siamo sicuramente su un piano assai diverso ed ogni persona, come ogni famiglia ha il suo particolare e personale vissuto. E gli studiosi di pastorale parlano di proposte, magari variamente formulate secondo il luogo e le circostanze, e mai di imposizioni, invitando comunque a maturare bene le scelte per quanto umanamente possibile. Noi stessi in altra occasione su questa testata abbiamo parlato di una Parrocchia-Comunità capace di creare, anche faticosamente, un’aria di famiglia, con la comune passione condivisa di portare le persone all’incontro con Gesù, in cui solo c’è salvezza. E ciò con una pastorale diversa, da quella che viene normalmente etichettata come “pastorale del ricatto”.
Diego Acquisto