Emergono altri particolari dagli atti dell’indagine che coinvolge 18 persone tra cui l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro e l’ex ministro Saverio Romano, indagati a vario titolo dalla Procura di Palermo che ne ha chiesto l’arresto per corruzione, associazione a delinquere e turbata libertà degli incanti. Cuffaro avrebbe confidato al suo fidato collaboratore Vito Raso (anche lui finito sotto inchiesta), di avere intenzione di ricandidarsi alla presidenza della Regione. Cuffaro a volte usava l’utenza della moglie e quella di un altro collaboratore, Antonio Abbonato per evitare di essere intercettato.
“Nell’adozione di tali accorgimenti, assurti a vero e proprio metodo, Abbonato e Raso – dicono i magistrati – hanno sempre assunto un comportamento proattivo finalizzato ad assicurare all’ex governatore della Regione Sicilia una sorta di schermo protettivo rispetto a possibili attività di intercettazione”. Secondo gli inquirenti le vere intenzioni di Cuffaro sarebbero state di candidarsi entro tre anni alla carica di presidente della Regione Sicilia.
E nell’inchiesta ci sarebbe un’altra talpa, oltre al colonnello dei carabinieri. Nella richiesta di arresto di Cuffaro spunta il nome di un ex poliziotto. “È molto in alto buttato nei servizi segreti, è quello che ci sta facendo entrare nel…”, diceva l’ex presidente non sapendo di essere intercettato. Poi parlando col capogruppo all’Ars della Dc Carmelo Pace, Cuffaro sostiene che l’ex poliziotto gli aveva consigliato di non parlare al telefono. “Dice “ma tu parli assai al telefono”, “come parlo assai al telefono? perché che ho fatto?”», afferma Cuffaro, riportando la conversazione con l’ex agente.
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