Serie D, bilancio amaro per le agrigentine: da tre a una, tra silenzi, retrocessioni e reti divelte
È stato un campionato di Serie D dal retrogusto amaro per le squadre della provincia di Agrigento. Ai nastri di partenza c’erano tre bandiere a rappresentare il calcio agrigentino: l’Akragas, squadra simbolo del capoluogo; il Castrum Favara, subentrato al posto del Canicattì; e il Licata, società storica dalla grande tradizione. Alla fine, ne resterà solo una. Ed è già questo un verdetto che racconta molto.
L’Akragas, su cui poggiavano le maggiori aspettative, rischia di ripartire da zero, proprio come nel gioco dell’oca: si ricomincia dal via. Per l’Akragas, che avrebbe dovuto rappresentare l’orgoglio del capoluogo, la stagione si è trasformata in un calvario sportivo e gestionale. Squadra costruita senza un’identità, con cambi in panchina, polemiche interne e una società che ha dato più l’impressione di galleggiare nell’improvvisazione che di avere una visione. Il rischio concreto è quello di dover ripartire da zero, senza garanzie, né prospettive. Un peccato, per una piazza che ha fame di calcio vero. E pensare che proprio in questi giorni ricorre l’anniversario del ritorno dell’Akragas in Serie C: era il 13 maggio 2015. Sono passati dieci anni, Agrigento è Capitale della Cultura, ma non del calcio.
Il Licata, nonostante la storia, la passione e il calore della piazza, ha pagato una stagione difficile con la retrocessione. Troppi i passaggi a vuoto, troppa l’instabilità. La stagione si è chiusa nel modo peggiore, con una amara retrocessione e la macchia degli incidenti accaduti nella sfida decisiva contro il Castrum Favara. Una partita da “dentro o fuori” che ha lasciato solo ferite, in campo e fuori. L’immagine della rete divelta dalla porta allo stadio “Bruccoleri” è il simbolo di un fallimento collettivo.
Il Castrum Favara, che aveva acquisito il titolo sportivo dal Canicattì, paradossalmente è l’unico a salvarsi. Ma a che prezzo? Una stagione tirata fino all’ultimo minuto, tra mille difficoltà e con punti sfumati anche a causa del ritiro dell’Akragas.
A peggiorare il quadro, ci si mettono anche i derby a porte chiuse per le tifoserie ospiti, che hanno tolto colore, passione e calore alle partite che avrebbero dovuto essere festa per tutto il territorio. Invece, diffide, sanzioni e silenzi. Il calcio agrigentino esce a pezzi da questa stagione. Serve una riflessione profonda, serve una rinascita culturale prima che sportiva. Perché se anche il gioco dell’oca ha un punto di partenza, l’Akragas — e con lei un intero movimento — rischia di non sapere più da dove ripartire. Ora serve ripartire, ma ripartire davvero, con idee chiare, dirigenti capaci e progetti solidi. Il calcio agrigentino non può permettersi di perdere anche la sua dignità sportiva.
Foto a cura di Filippo Mendolia
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