Il boss di Campobello di Licata Giuseppe Falsone, anche dal carcere impartiva ordini ai suoi associati, e voleva la pax mafiosa sul territorio, un avvicinamento tra Cosa nostra e Stidda, soprattutto, nel territorio canicattinese. A fare da tramite con l’esterno, per di più con le rigorose restrizioni del regime del 41 bis, il carcere duro, e le cosche mafiose è stata la sua legale.
A rivelarlo è stata proprio l’ormai ex avvocato Angela Porcello ascoltata al processo “Xydi”, condotta sul campo dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Agrigento, e coordinata dalla Dda di Palermo, che ha fatto terra bruciata attorno all’ex superlatitante di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, ed ha colpito, in particolare, il mandamento di Canicattì, che si sarebbe riorganizzato attorno all’anziano capomafia Calogero “Lillo“ Di Caro, al boss Giancarlo Buggea e appunto all’ex compagna di quest’ultimo l’ex avvocato Porcello.
L’ex legale, arrestata e condannata a 15 anni e 4 mesi di reclusione proprio nello stralcio abbreviato di questa inchiesta, è comparsa ieri mattina in videocollegamento dal carcere davanti i giudici della Seconda sezione penale del Tribunale di Agrigento presieduta da Wilma Angela Mazzara.
Nove le persone sul banco degli imputati: si tratta di Giuseppe Falsone, boss ergastolano di Campobello di Licata e capo provinciale di Cosa Nostra; Antonino Chiazza, 52 anni, di Canicattì; Pietro Fazio, 49 anni, di Canicattì; Santo Gioacchino Rinallo, 62 anni di Canicattì; Antonio Gallea, 65 anni di Canicattì; Filippo Pitruzzella, 61 anni, ispettore della polizia in pensione; Stefano Saccomando, 45 anni di Palma di Montechiaro; Calogero Lo Giudice, 48 anni di Canicattì; Calogero Valenti, 58 anni, residente a Canicattì.
Porcello continua a professarsi collaborativa con la giustizia. Un percorso, al momento, bocciato dalla Dda. E ieri, tra le tante cose dette, ha parlato del boss campobellese che manifestava chiaramente la sua preferenza con riguardo al suo successore, l’imprenditore canicattinese Giancarlo Buggea e dei beni di proprietà di Falsone ma formalmente intestati ad altri, dei prestanome, elencati uno per uno con accanto i nomi dei formali intestatari, e mai finiti all’esame dei magistrati inquirenti. La Dda avrà di che lavorare adesso, per trovare i dovuti riscontri e, procedere secondo legge.
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