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Home » L’angolo di don Diego » Il coraggio e la schiettezza di Papa Francesco

Il coraggio e la schiettezza di Papa Francesco

Redazione Di Diego Acquisto
4 Giugno 2024
in L’angolo di don Diego
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Coraggio e schiettezza caratterizzano il linguaggio e, quindi, la personalità di questo Papa, che, nell’affrontare sempre tutti gli argomenti, anche i più scabrosi, parla con coraggiosa schiettezza, mettendo in gioco sempre la sua sensibilità umana, culturale e spirituale.

Tutto questo, naturalmente, per la fragilità umana, può portare, come di fatto avvenuto, ad usare espressioni magari inadeguate, specie se considerate fuori dal contesto, quando a tutti capita, in un clima confidenziale, di usare un linguaggio colorito; un linguaggio proprio del luogo e della cultura popolare corrente….

Quel linguaggio e quell’espressione, uscendo dal contesto specifico in cui sono state pronunciate, assume ben altro valore.

 In questo senso l’espressione irrituale usata da Papa Francesco nel dialogo a porte chiuse con i Vescovi italiani («c’è già troppa frociaggine»), fuori dal contesto era stata tradotta e  sentita come un’offesa, una non lieve ferita, ad una certa fascia di persone.

Proprio quello che  è avvenuto a Papa Francesco, che in maniera confidenziale, usava quell’espressione corrente in Argentina, così come usata come in Italia ed in Sicilia.

Ed ecco che, all’indomani della sua pubblicazione, sui media la Sala Stampa della Santa Sede  ha ritenuto di dover precisare  che “il Papa non aveva mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e pertanto rivolgeva le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri”.

Questo nei giorni scorsi. Ma c’è di più, perché proprio ieri 3 giugno, Papa Francesco – come pubblicato da Avvenire –  ha risposto  alla mail di un giovane, il 22enne Lorenzo Michele Noè Caruso,  che diceva di essere stato escluso dal Seminario perché omosessuale, affermando Papa Francesco,  non solo che “..la mondanità è il peggio che può capitare alla Chiesa. Ma Gesù chiama tutti”, nessuno escluso.

Dicendo pure nel corso della  riflessione sull’accaduto – – secondo quanto riportato dal Messaggero –  che  quel “clericalismo tossico ed elettivo” di cui Caruso parlava,  doveva essere considerato come “una peste” da collegare alla cultura della mondanità.  Precisando che   “…è una cosa  brutta la mondanità ….e, come dice un grande teologo, “la mondanità è il peggio che può accadere alla Chiesa, peggio ancora che il tempo dei Papi concubinari”.

A nessuno sfugge la coraggiosa citazione di eventi, seppur limitati, che, purtroppo,   sono davvero  accaduti nella Chiesa; eventi di cui si sono resi responsabili alcuni “Papi concubinari”. Gesù chiama tutti, tutti. La Chiesa deve essere aperta a tutti.

“Fratello, – dice a Caruso – vai avanti con la tua vocazione.

Avanti   anche nel rispetto dell’Istruzione del Dicastero vaticano per il Clero del 2005,   che,  ben capita ed interpretata,  spiega che “la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli ordini sacri coloroche praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”. Una misura questa, confermata nel 2016 e che riguarda quindi solo quelli che praticano, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay.

Commentando la risposta del Pontefice il giovane Caruso  la definisce “bella”, fa capire, aggiunge, “chi è il Papa vero, non è quello che hanno fatto credere. Questa lettera mi dà speranza, il Seminario resta un sogno non accantonato”.

Il Papa perciò all’aspirante seminarista gay, con un biglietto scritto di proprio pugno come rivela il quotidiano “Il Messaggero”,  ha inviato a questo aspirante seminarista, il 22enne Lorenzo Michele Noè Caruso,  ha detto sostanzialmente di andare avanti con la sua vocazione. E se i, Signore davvero lo chiama, potrà essere ordinato presbitero

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