La memoria e la scrittura come armi contro la brutalità. Un NUNCA MAS silenzioso, ma non per questo, meno potente.
“Ferrari, qua partite male: di qui uscirete o morti o pazzi”. Queste le parole del Capo-Gendarme della Giunta Argentina che riecheggiano nella mente di Sergio Ferrari, dirigente del fronte studentesco al tempo del suo arresto nel marzo del ‘76. Il sopravvissuto al Carcere duro di “Coronda” cita pedissequamente le parole di Olghe Raphael Midela, autore del golpe contro il governo locale avvenuto nello stesso periodo del suo incarceramento: “Prima uccideremo tutti gli oppositori, poi i collaboratori, quindi i simpatizzanti; poi uccideremo gli indifferenti, infine anche i timidi”. Dal carcere di Coronda, a distanza di quasi cinquant’anni, rimbombano ancora, tra le mura del Liceo Empedocle, i colpi stridenti dei manganelli, le urla, urla di dolore, i valorosi gesti di ribellione. Il 12 marzo scorso gli studenti hanno avuto la possibilità di assistere alla testimonianza del giornalista e sopravvissuto argentino Sergio Ferrari, vittima degli orrori della dittatura della sua nazione e uno degli oltre settanta autori del libro “Grand Hotel Coronda”. L’incontro, voluto dal Dirigente Scolastico Marika Helga Gatto, è stato curato dai professori Adriana Iacono e Fabio Mangione. “Questo libro è qualcosa di magico. Venti anni. È stata necessaria una generazione per digerire questa storia in modo più sano e distante” dice, accolto dai microfoni della redazione dell’Empedocle. “Questo libro raccoglie valori universali, di una lotta collettiva, di una resistenza umana, del valore delle nostre famiglie” e aggiunge singhiozzando “quando penso alla famiglia penso a mia madre Dora che faceva ventiquattro ore????? per fare visita a me a mio fratello, Claudio” e parlando delle madri continua dicendo “Le nostre madri hanno vissuto orrori esistenziali: durante le visite non era concesso alcun contatto fisico, solo una cornetta ed un vetro: una vera tortura” poi inorridisce nel ricordare “erano persino sottoposte ai controlli vaginali”. Poi continua l’intervento e tocca lo scottante argomento dei Desaparecidos: “Nel 1983 la Commissione Per Gli Scomparsi riviene circa 30.000 corpi dei cosiddetti “Scomparsi”. Vi erano oltre 600 centri di detenzione clandestina. I detenuti, lì dentro, ufficialmente non esistevano più: erano sottoposti a bendaggi, elettrocuzioni dopo docce fredde, ustioni; gli stupri erano la prassi”. Gli studenti, toccati dalla tragicità, chiedono ulteriori dettagli e Sergio aggiunge: “Addirittura, nel 1985, durante il processo, una donna racconta che una volta un ufficiale radunò alcuni suoi sottoposti, ordinando di stuprare almeno una donna nel centro. I figli che nascevano nelle carceri erano dati a famiglie di ufficiali”. A questo punto cita la storia di Estela Carlotto, la presidentessa delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, madre di una delle donne scomparse, e nonna di uno dei bambini nati a Coronda e consegnato alle famiglie dei carnefici di sua figlia: “Caro Guido, oggi che compi 18 anni voglio dirti cose che non sai ed emozioni che non conosci […] Festeggi un compleanno sotto un nome diverso accanto ad un uomo e una donna che non sono i tuoi genitori, ma i tuoi ladroni […]. Non sanno che tieni dentro le ninne nanne che Laura ti cantava in carcere. Un giorno ti sveglierai da questo incubo […]” Tornando sulle orribili tecniche di sterminio dice: “I voli della morte. Gli oppositori erano sedati e buttati a mare dal volo ogni mercoledì dall’ESMA, spesso ancora vivi. Altrettanto spesso capitava che morissero sbranati dagli squali”. Il professore Alberto Todaro sottolinea come tale argomento sia molto più vicino di quanto si possa pensare. Di fatto almeno quarantacinque di questi Desaparecidos erano di nascita italiana e sei di questi erano siciliani. “Salvatore Privitera, medico catanese a Cordova, messo a processo, dichiarato innocente e, ciononostante, incarcerato. Probabilmente fu eliminato con i “vuelos de la muerte”. Il fratello vive ancora a Gran Michele. Claudio di Rosa di Piazza Armerina. Morto quasi sicuramente il campo di concentramento dell’ESMA. Adesso vi sono dei cugini che saranno chiamati a fare la prova del DNA per accertare il ritrovamento del cadavere. Poi Vincenzo Fiore di San Mauro Castel Verde, Palermo; Giovanni Caniolo, l’innocente Silvana Cambi, Giuseppe Vizzi da Comiso. Molti sono i nomi e molti sono i volti che non hanno ancora ottenuto giustizia. Infine, torna di nuovo sulla scrittura: “ La scrittura per me è stata liberatrice. [[…] La memoria di Coronda si schiera contro la ripetizione della brutalità; per me è un omaggio quotidiano a mio fratello, Claudio, e a tutti i compagni rimasti lì. Ognuno di noi deve trovare il suo Periscopio”. Verso la conclusione torna di nuovo sull’importanza di ricordare e gli alunni si uniscono con lui in un silenzioso e liberatorio urlo: “NUNCA MAS”, “Mai più!”. Che il ricordo di questa giornata accompagni per sempre le menti e i cuori di ogni individuo, come una fiamma luminosa nella notte buia dell’oppressione.
Jasmine Giuseppina Tatano – Alessia Vella Lavinia Fucà – Gioele Gentile
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