Torna di attualità la storia dell’occupazione della miniera della Ciavolotta, la “sulfara” situata sopra una collina tra il Villaggio Mosè e Favara, Nel luglio del 1954, infatti, ventisette minatori decisero di occupare ad oltranza la miniera di zolfo della Ciavolòtta, a Favara, in segno di protesta contro l’amministrazione mineraria che, dopo aver sospeso loro il pagamento degli stipendi dei mesi di aprile, maggio e giugno e non versato gli assegni familiari dei mesi di maggio e giugno, annunciò il licenziamento di ben sessantotto minatori.
Una storia magistralmente riproposta nel romanzo “I sepolti vivi” di Giacomo La Russa, pubblicato dalla giovane Casa editrice agrigentina VGS libri diretta da Graziella Pecoraro ( 126 pagine, 15 euro). La vicenda è nota. Nonostante la diffida da parte della direzione della miniera a non continuare a oltranza quell’occupazione, i minatori si rifiutano di uscire dai cuniculi in cui si erano barricati fin tanto che non fossero state esaudite tutte quante le richieste da loro avanzate compreso l’annullamento dei licenziamenti annunciati. Nel volume l’autore narra di Michelangelo Fanello, detto Michilà, che racconta di quei cinque mesi di occupazione, tra patimenti fisici e psicologici, tensioni interne e pressioni esterne durante i quali affronterà, insieme a una parte dei suoi compagni, patimenti fisici e interiori che si alterneranno a momenti di debolezza e di preoccupazione per le famiglie che da casa aspettano il loro ritorno. Tutti loro nutrirono la speranza di una risoluzione positiva della vicenda e si batterono anche per chi non ha creduto in quella loro stessa lotta. Al racconto principale si intrecciano poi gli interessi del proprietario della miniera che poco o nulla ha a cuore il futuro dei suoi operai e gli interessi di una classe politica che cercherà di risolvere la situazione ricorrendo a un tranello e a una falsa promessa di una pronta riassunzione pur di convincere i minatori a porre fine allo sciopero. Questi ultimi saranno persino processati e condannati per quanto successo durante quei cinque lunghi mesi. Non sarà sufficiente a perorare la loro causa e a scongiurarne l’arresto, l’arringa appassionata e ben argomentata del loro avvocato difensore. Ad un certo punto del romanzo a pagina 28, si legge: “In un silenzio assoluto ( dice Michilà) finii di leggere il documento facendo l’elenco delle nostre richieste: pagamento immediato di tutti gli arretrati, revoca immediata di tutti i licenziamenti, definizione dei tempi e delle modalità per l’apertura di un nuovo livello di preparazione. «Firmato», dissi con una voce carica di emozione, «i membri della commissione d’occupazione». Ci fu un’esplosione, delle grida d’entusiasmo. Vennero tutti a congratularsi con noi, ci strinsero la mano, ci abbracciarono. Tornammo a bere vino. Martino Cannìzzu, detto l’Ariosto, si mise a suonare il mandolino e, in mezzo al fango e alle due linee di rotaia, ci mettemmo a ballare e a cantare “Vitti ‘na crozza”. A un tratto, mi guardai intorno. Ebbi l’impressione che le mie incertezze e preoccupazioni fossero svanite. Mi sentii quasi felice. Sembrava che avessimo già vinto”. Invece non fu così. I sepolti vivi, così come furono definiti in quei mesi dalla popolazione locale, diverranno un esempio virtuoso di strenua resistenza e lotta per i diritti dei lavoratori di ogni dove, e l’eco della loro protesta troverà ampia diffusione anche fuori dai confini siciliani raccogliendo la solidarietà di tanti operai dell’intera penisola. Giacomo La Russa, 54 anni, originario di Palermo, vive ad Agrigento dove esercita la professione di avvocato. Ha già pubblicato il romanzo “La storia di Jason”. Questa sua opera letteraria “I sepolti vivi – La rivolta della Ciavolòtta” è stata finalista alla IX edizione del “Premio internazionale di letteratura Città di Como 2022. Da ricordare che il sito della Ciavolotta nel 1950 venne scelto come location dal regista Pietro Germi per girare alcune scene del film “Il cammino della speranza” in cui narra proprio di un gruppo di minatori rimasto senza lavoro che decide di andare a cercare lavoro in Francia ma viene abbandonato ai piedi delle Alpi da un truffatore che avrebbe dovuto organizzare l’espatrio clandestino.
LORENZO ROSSO
Segui il canale AgrigentoOggi su WhatsApp
