Saro Castellana ricorda il suo amico ambasciatore ucciso un mese fa in Congo.
Il 24 febbraio scorso moriva in un’imboscata in Congo l’ambasciatore italiano Luca Attanasio. Ad un mese esatto dall’uccisione, nella repubblica Democratica del Congo, il suo vice, l’agrigentino Saro Castellana, funzionario del ministero degli Esteri, ha voluto ricordare la figura del collega e amico. “Quando sono arrivato nella Repubblica Democratica del Congo, l’ambasciatore Luca Attanasio era già li da un anno. Viveva a Kinshasa con la moglie e le figlie. Mi travolse sin da subito il suo senso dello Stato, il suo puntiglio e la sua straordinaria professionalità nell’esercitare una funzione tanto importante quanto delicata”. Saro Castellana, che oggi regge le sorti della nostra ambasciata a Kinshasa e che per un caso fortuito ha evitato la morte in quanto quel giorno avrebbe dovuto essere con l’ambasciatore, ricorda con commozione la figura dell’amico ucciso in un imboscata dai ribelli, il 24 febbraio scorso assieme al carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci e al suo autista, mentre erano in missione nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. “L’Ambasciatore Luca Attanasio – ricorda Castellana, figlio dell’archeologo Giuseppe Castellana, ex direttore del Parco Archeologico della Valle dei templi – aveva una carica umana orientata costantemente alla proiezione del rispetto della persona umana in ogni singolo gesto. E difatti l’Ambasciatore portava in ufficio lo stesso sorriso con il quale usciva da casa dopo aver abbracciato moglie e figlie, e questo sorriso lo accompagnava anche agli eventi pubblici, alle riunioni internazionali. Quando arrivava in Ambasciata – racconta Saro – l’atmosfera cambiava; tutto ad un tratto l’atmosfera era più leggera, più tranquilla e rilassata. Talvolta era così intensa la forza del suo sorriso da sembrare contagiosa. Tutti lo percepivano, e ricambiavano questa sua forza positiva dando il massimo nel collaborare. Consapevole dei problemi del Paese in cui operava si era fatto carico, assieme alla moglie Zakia, di dare un senso ultraprofessionale al suo impegno in Congo fondando l’Ong “Mamma Sofia” nella quale mettere a frutto la sua esperienza e la sua umanità solo per aiutare i più deboli, soprattutto i bambini. Io credo – prosegue Castellana – che ci abbia messo tanta passione quanto fondi propri a sostegno delle iniziative. Quando l’Ambasciatore Luca Attanasio era libero dagli impegni istituzionali era solito recarsi, sempre accompagnato dalla moglie Zakia, presso le diverse associazioni di volontariato sparse per la città di Kinshasa. Lo scopo era aiutare i bisognosi, ma non secondo la logica del sostentamento ma bensì quella dello sviluppo (non ti do i soldi per mangiare ma ti insegno un lavoro per poter vivere in maniera indipendente). Spesso la domenica insieme alla moglie Zakia si recava presso l’associazione di volontariato Amore e libertà o dalle poverelle di Bergamo, congregazioni missionarie che si occupano di assistere sia i bambini orfani che gli anziani. E così spogliandosi della sua veste istituzionale di Ambasciatore, indossando una semplice maglietta e jeans, accudiva i bambini facendoli giocare o serviva da mangiare le persone anziane che avevano bisogno di assistenza; il tutto con tanto amore e pazienza. Mi diceva spesso che era rimasto colpito dalla popolazione congolese perché, nonostante sia un popolo che vive con poco, non ha mai smesso di ridere alla vita accettandola così come è. Luca Attanasio era un organizzatore, un innovatore ed uno stratega. Tre qualità – ricorda Saro Castellana – che hanno fatto di lui un servitore dello Stato amato e soprattutto stimato dai suoi collaboratori e dalla collettività italiana. Simbolo della nostra migliore diplomazia, l’ambasciatore Luca Attanasio voleva portare la pace in un territorio dilaniato dalla violenza, dalle lotte tribali e dalla contesa feroce fra gruppi contrapposti per accaparrarsi e gestire le innumerevoli risorse di un territorio fra i più ricchi al mondo. Perché era questo Luca Attanasio – conclude Castellana. Era un uomo che aveva deciso di fare del bene. Mi piace ricordarlo, dunque, come un servitore dello Stato certamente, ma anche come un portatore di pace”.
LORENZO ROSSO
Segui il canale AgrigentoOggi su WhatsApp