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Home » dalla città » Venerdì Santo, l’omelia del vescovo: «Pensiamo di essere liberi ed invece siamo schiavi»

Venerdì Santo, l’omelia del vescovo: «Pensiamo di essere liberi ed invece siamo schiavi»

10 Aprile 2020
in dalla città
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Da L’Amico del Popolo

«È comodo e facile piangere sugli altri – dice l’arcivescovo Francesco – ma piangere su se stessi è doloroso. Non vogliamo vederci per quello che in realtà siamo».
Uomini e donne che pensano di essere liberi ma che invece non lo sono. «Sta diventando normalità – denuncia Montenegro – che la libertà si tramuti in violenza. Aumentano le aggressioni verbali e fisiche tra le mura di casa. Il disagio registrato in questi giorni di fermo sanitario sta evidenziando la fragilità di molte relazioni familiari improntate da tempo al “mordi e fuggi”, diventa sempre più difficile guardarci negli occhi, condividere gli spazi; per molti la casa resta solo un parcheggio di breve durata… eravamo e siamo come isole in piccoli mari; molto e sempre attenti ai social, dai quali ormai dipendiamo e che orientano le nostre scelte se non addirittura la nostra vita, e poi incapaci di accorgerci delle necessità dei più vicini o di ascoltare il proprio familiare, coniuge, figlio, genitore che sia, se non addirittura ci sentiamo infastiditi dalla sua presenza accanto a noi».

La nostra libertà personale è invece dipendenza. «Ci si ammazza e si ammazza – prosegue l’arcivescovo – per un “gratta e vinci”, che poi è sempre un “gratta e perdi”; ci si gioca la pensione, lo stipendio e spesso qualcosa in più… quello che era sembrato un gioco non lo è più e così ti porta via soldi, serenità, affetti». Una libertà che ci ha portato a rapinare e violentare la natura e la città. «Deturpare le nostre città – dice Montenegro – non è una bravata o semplice noncuranza, è disprezzo per la bellezza e per i cittadini. Ridurre campagne e carreggiate, slarghi di vie urbane ed extraurbane, a discarica, è un’azione distruttiva, è un’offesa a Dio creatore, un oltraggio alla memoria di chi si è impegnato seriamente perché noi vivessimo meglio di come hanno vissuto le generazioni precedenti».

Un territorio, il nostro, tormentato da vecchie e nuove criticità. «Giustamente – prosegue l’arcivescovo – protestiamo per la noncuranza della nostra viabilità; ci lamentiamo per la qualità e il costo dei servizi idrico, per lo smaltimento dei rifiuti… ma solo ora ci accorgiamo dei tagli fatti alla sanità e l’emergere di quelle sacche di povertà nelle quali ingrassano le mafie e le loro consociate. In un territorio sguarnito di strutture aziendali e incapace di sfruttare le ricchezze che possiede (turismo e agricoltura) diventa sempre più profonda e sanguinante la piaga del lavoro nero, e dell’illegalità, questa non presenta mai i conti ai più forti, ma ai più fragili, a chi non ha tutela, né voce».

E poi un pensiero a chi in questi giorni sta ritornando alla casa del Padre «in questa notte santa e particolare, in cui tanti fratelli negli ospedali e nelle case sono inchiodati con te sulla croce dal virus o muoiono soli senza neppure lo sguardo o la carezza di una persona amata – tu avesti quello di Maria tua Madre – non vogliamo dire che sei la nostra “ultima spiaggia”, né colui su cui proiettare le nostre paure, ma che sei la nostra speranza, la nostra forza, nella paura e nella morte».

Ed a concludere il messaggio una preghiera a Dio «Signore Dio non sei tu a sconvolgere le leggi del creato e non vuoi sostituirti a noi creature, né agire come “tappabuchi” delle nostre inadempienze e omissioni senza fine.
Signore, credo in Te, che non sei un “dio-spray” da usare per cancellare il male odore dei nostri vuoti di umanità; Tu, Signore, con delicatezza proponi il tuo amore e la tua misericordia, non sei tu a mandare virus e pestilenze, ma sogni che tutti noi, torniamo a essere ciò che siamo e dovremmo essere: fratelli-sorelle. Signore, credo in Te, che non sei il “dio statuina”, da far scendere dagli altari e portare in processione al momento del bisogno.  Sbrigandoti come una faccenda tra le tante. Tu sei Padre, buono, che non attendi ma corri incontro ai figli prodighi, e sorridi sentendo i nostri ipocriti discorsetti travestiti di preghiera coi quali ci autoassolviamo».

 

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