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Home » Mafia » Mafia, emergenza Coronavirus: rinviato processo “Kerkent”

Mafia, emergenza Coronavirus: rinviato processo “Kerkent”

13 Marzo 2020
in Mafia, Cronaca, dalla città, evidenza
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Rinviata d’ufficio dal Gup del Tribunale di Palermo, Fabio Pilato, l’udienza del processo scaturito dalla maxi inchiesta antimafia “Kerkent”, condotta in “campo” dal personale della Dia di Agrigento, che il 4 marzo dell’anno scorso, ha disarticolato la ricostruita famiglia mafiosa di Agrigento, con a capo il boss Antonio Massimino.
Scrive il giudice: “per le misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19”. Prossima udienza 30 marzo prossimo. In quella data è prevista l’inizio della requisitoria dei Pubblici ministeri, per i 28 imputati che hanno scelto il rito abbreviato.
Sono il capomafia di Agrigento e Villaseta Antonio Massimino, 51 anni, e il figlio Gerlando Massimino, 31 anni. E poi ancora Sergio Cusumano, 56 anni; James Burgio, 27 anni;   Alessio Di Nolfo, 33 anni; Salvatore Capraro, 30 anni; Marco Davide Clemente, 27 anni; Fabio Contino, 40 anni; Francesco Di Stefano, 42 anni; Salvatore Ganci, 47 anni; Daniele Giallanza, 47 anni; Eugenio Gibilaro, 54 anni; Pietro La Cara, 42 anni; Domenico La Vardera, 38 anni; Domenico Mandaradoni, 30 anni; Antonio Messina, 61 anni; Giuseppe Messina, 32 anni; Valentino Messina, 46 anni; Liborio Militello, 52 anni; Gregorio Niglia, 36 anni; Andrea Puntorno, 42 anni; Calogero Rizzo, 48 anni; Francesco Romano, 33 anni; Vincenzo Sanzo, 37 anni; Attilio Sciabica, 31 anni; Luca Siracusa, 43 anni; Francesco Vetrano, 34 anni e Giuseppe Tornabene, 36 anni.
Le accuse, a vario titolo, sono associazione mafiosa, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti (aggravate dal metodo mafioso), detenzione abusiva di armi, sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato, e danneggiamento mediante incendio. Figura centrale dell’inchiesta Antonio Massimino, recentemente condannato a sette anni e quattro mesi, e con lui il nipote, perché trovati in possesso di un mini arsenale. Sarebbe stato il boss, dopo essere tornato in libertà, a riorganizzare la famiglia mafiosa di Agrigento, realizzando una “rete” di spaccio.

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