Il Consiglio del Parco archeologico si è insediato ufficialmente ma l’ex componente Gabriella Capizzi (FOTO) non ci sta. La stessa che ha presentato un ricorso al TAR. Il Tribunale amministrativo regionale se ne occuperà, probabilmente, in autunno. Ma intanto le polemiche non si placano. Sulla questione interviene proprio Capizzi che dichiara:
“Reputo necessario fornire alcuni chiarimenti sulle vicende del Consiglio del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento.
Innanzitutto mi preme ricordare che il Consiglio del Parco del quale facevo parte era stato ripristinato dall’Assessore Vittorio Sgarbi in linea con le norme di spending review che, avendo caratteristiche di norme di contenimento di finanza pubblica si applicano, in ogni caso, a prescindere da qualunque considerazione di carattere scientifico o culturale.
Infatti il Consiglio del Parco, nella sua composizione di non più di tre componenti, risultava perfettamente aderente alle previsioni di legge che la stessa spending review dapprima stabiliva in cinque componenti, salvo poi diminuirli a tre.
In tale Consiglio così composto, la mia nomina, quale soggetto interno all’Amministrazione regionale, presso l’Assessorato ai Beni Cultuali e all’Identità Siciliana, e non all’Assessorato al Turismo, come è stato erroneamente scritto, era sopravvenuta in seguito alle dimissioni dell’Ingegnere Sergio Alessandro.
Sulla mia competenza a rivestire il ruolo di componente del Consiglio del Parco, gli atti posti in essere dal Consiglio sono la migliore risposta a chi ancora parla di una mia mancanza di requisiti per ricoprire questo ruolo.
Lo stesso Presidente Musumeci, illo tempore informato della mia nomina e da me personalmente contattato, ebbe, nei miei riguardi parole di incoraggiamento, invitandomi a mettere in pratica ogni atto ritenuto utile a dare nuova linfa alla gestione del Parco.
Ritengo di aver fatto tesoro, come ognuno di noi dovrebbe, dei consigli del Presidente della Regione;
e ne ho fatto tesoro con assoluta imparzialità e totale autonomia dal potere politico della Regione Siciliana, affrontando in una posizione di assoluta neutralità tutte le particolari problematiche economiche e tecniche del Parco della Valle dei Templi, non ultima la recente complessa vicenda che ha permesso agli stilisti Dolce & Gabbana di realizzare un evento che ha avuto un’eco mondiale e che ha accresciuto innegabilmente l’appeal del sito nel rispetto della conservazione dei beni archeologici.
E oltre a questa, molte sono state le iniziative realizzate in meno di 18 mesi, nel corso di un incarico che prevedeva per legge una durata di quattro anni.
Quindi, quando ho appreso dai giornali che il Presidente Musumeci, nella qualità di Assessore ad interim per i beni culturali, aveva dato vita ad un nuovo Consiglio del Parco, mi sono detta che il Presidente non poteva sapere che l’atto che aveva firmato di fatto si traduceva in una chiara forzatura di una precisa norma di legge, visto che la durata in carica del Consiglio del Parco è, per legge, di quattro anni!
Non riconoscevo in questo modus operandi la precisione che ha sempre contraddistinto l’operato di un uomo delle istituzioni come Musumeci, che evidentemente, rassicurato dai propri uffici, aveva firmato questo atto ritenendolo opportuno.
E questa mia idea trovava conferma pochi giorni dopo: evidentemente chi aveva proposto tali atti alla firma del Presidente, accorgendosi che l’atto mancava del presupposto della revoca, ha tentato verosimilmente di porvi rimedio, facendogli adottare, ad oltre quindici giorni dall’inspiegabile rinnovo del Consiglio a cinque componenti, un atto di revoca del Consiglio formato da tre membri legittimamente in carica, supportato da futili motivazioni che la legge istitutiva del Parco non contempla assolutamente.
Solo così mi spiego questa vicenda, il cui fine risulta evidentemente quello di sostituire una governance che in ogni caso, forse, poteva essere integrata.
Mi sono chiesta perché, fra tutte le criticità che mortificano il patrimonio archeologico e artistico della nostra terra che meriterebbero immediata soluzione, l’attenzione del mondo politico si sia rivolta proprio al Parco Archeologico di Agrigento: una realtà sana e virtuosa, da prendere anzi a modello di gestione illuminata per i futuri parchi, che gode al momento di particolare successo, grazie anche ad un Consiglio che amministrava il sito nel pieno rispetto della legge!
E la stampa, così accorta nel trattare le vicende del Consiglio del Parco, si è chiesta perché proprio in questo momento un cambio nella composizione del Consiglio? Cui prodest?
In un momento in cui il Consiglio è chiamato ad organizzare la gestione di eventi come “Agrigento 2020” e la “Sagra del Mandorlo in fiore” e che dire poi della gestione dei nuovi siti che sono stati assegnati al Parco e che dirotteranno le risorse prodotte nell’area archeologica agrigentina ai siti che vanno da Menfi a Licata, da Cammarata a Sambuca di Sicilia, e che hanno di fatto snaturato la missione del Parco, facendone mutatis mutandis, una succursale dell’Assessorato, e non più un’istituzione a vocazione prevalentemente culturale?
E ancora, perché nulla è stato detto sugli effetti devastanti che potrebbe avere in una regione come la nostra, la cui bellezza viene da tempo pesantemente umiliata, l’articolo 29 della legge regionale 7 del 2019, che di fatto sancisce il principio del silenzio-assenso, che stabilisce che “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda”?
Aldilà di quella che sarà la decisione del TAR, alla quale spero non si arrivi, proprio per la fiducia che ripongo nel Presidente della Regione che sicuramente saprà approfondire personalmente la questione, è ormai chiaro, e lo dico con amarezza, che manca in Sicilia, per i beni culturali, una progettualità unitaria, brillante ed efficace che riesca a cambiare una realtà triste e preoccupante: siti archeologici abbandonati a se stessi, luoghi d’arte non fruibili, musei obsoleti.
Tanti sarebbero dunque gli interventi da fare nell’interesse esclusivo del nostro prezioso e fragile patrimonio culturale, ma sicuramente fra questi non rientra quello che ha avuto ad oggetto il Consiglio del Parco della Valle dei Templi.
Ritorna ancora una volta, ineluttabilmente, la veridicità delle parole di Tomasi di Lampedusa, che sembra si sia trasformata in una maledizione per la nostra isola: “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Segui il canale AgrigentoOggi su WhatsApp
