Non ha tollerato più una trattenuta mensile di circa 7€ sulla pensione del padre. Soldi, a quanto pare, destinati alla voce “delega trattenute sindacali su pensione“. E così ha deciso di scrivere una lettera al Direttore di AgrigentoOggi, Domenico Vecchio, per denunciare e rendere pubblica la sua storia che si protrae da ormai sei mesi. Ma cominciamo per tappe.
In pratica, nell’ultimo anno il padre si è sottoposto a tre interventi chirurgici a Pisa, proprio dove vive il mittente.
La malattia e la lontananza dal paese di origine, Favara, ha costretto il figlio a seguire per conto del genitore, diverse cose. Per semplificarsi la vita ha attivato i servizi con credenziale forniti online dal sito dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, INPS.
Nel mese di Giugno 2016, visionando il profilo del padre, si accorge che alla voce “delega trattenute sindacali su pensione” era attiva una delega con una trattenuta mensile di circa 7€.
Chiede delucidazioni al padre che gli dice di non esserne a conoscenza.
“Generalmente– si legge- queste adesioni sono attivate da quei CAF che in virtù di questa, generalmente, prestano assistenza gratuità ai propri aderenti”.
Si accerta, allora, se il CAF, dove suo padre abitualmente si serviva, gli avesse prestato assistenza gratuità e scopre che “gli aveva sempre fatto pagare anche le semplici fotocopie”.
Dopo diverse telefonate, riesce a parlare col titolare del CAF di Favara per chiedergli delucidazioni e gli viene detto che “queste deleghe generalmente vengono attivate dalle sedi provinciali in automatico“.
Non si fida molto delle parole e gli intima di rimuovere queste deleghe. Contattando INPS, tramite il Call Center, gli viene suggerito il link di un modulo da compilare per richiedere la Revoca di questa delega.
Nel mese di Gennaio 2017, rientra nel sito di INPS per fare delle domande per il padre (ISEE sanitario) e si accorge che le suddette deleghe, non solo non erano state revocate, ma erano state addirittura rinnovate nel mese di Novembre.
Questa volta però il sito di INPS permette di inserire la REVOCA di queste semplicemente pigiando un pulsante dell’interfaccia. Quindi, procede a fare da sè la revoca e dice telefonicamente al CAF di accertarsi che non vengano mai più inserite.
Successivamente, si accorge che tra le novità introdotte dal sito di INPS, c’è anche la possibilità di scaricare in formato PDF una scansione della documentazione presentata dal CAF per ottenere la delega.
Scarica così il documento e si accorge con stupore che sul documento è apposto il nome del padre ma che la calligrafia della firma non è la sua.
Questa cosa ha fatto andare il figlio su tutte le furie. “Tralasciando gli aspetti legali dell’apposizione di una firma falsa- scrive al Direttore di AgrigentoOggi- mi chiedo come un sindacato che nasce proprio per tutelare i suoi aderenti possa ingannarli in questo spiacevole modo”.
Nonostante tutto, però, trattandosi di cose di suo padre chiede a lui cosa volesse fare.
“Mentre ero pronto a rivolgermi alle autorità competenti– si legge ancora- mio padre ha preferito non sporgere alcuna denuncia e soprassedere su questa cosa”.
Pensava che tutto fosse risolto così, se non che, giorni fa gli arriva la notifica di una nuova richiesta di delega, questa volta da un altro Sindacato del quale il papà non sa niente.
Facendo mente locale, pensano che potrebbe essere quello afferente ad un altro caf al quale il signore si era rivolto una volta sola un paio di anni fa.
In ogni caso, prova a contattare un numero di telefono della sede provinciale del Sindacato, sempre dopo aver fatto la Revoca di questa ennesima richiesta, e riesce a parlare con un responsabile.
“Dopo aver espresso tutto il mio disprezzo per questa pratica che, a mio avviso, poco o niente ha a che fare con la loro “mission” sindacale, mi sento proporre una assistenza gratuita per me e mio padre presso la loro sede se “per questa volta” faccio finta di niente e non do seguito ad alcuna denuncia alla pubblica autorità“, dichiara lo scrivente indignato.
“Ancora una volta– si conclude la lettera- lascio che sia mio padre a decidere e ancora una volta lui non vuole che io sollevi un polverone. Sinceramente, però, nell’impossibilità di effettuare la denuncia visto il parere paterno, non me la sono sentita di tenere tutta questa faccenda per noi ed ho voluto segnalarla alla vostra testata affinché possa darle visibilità. Se, come spero, il nostro è solamente un caso singolo di malaffare non succederà nulla, ma se malauguratamente questa disgustosa pratica è diffusa sarà bene che i cittadini ne vengano a conoscenza e possano difendersi nelle opportune sedi”.
Caro lettore, da una prima ricerca ci siamo accorti che si tratta di un fenomeno assai diffuso nel nostro paese. La questione ha avuto risonanza nazionale. Altri pensionati, infatti, hanno scritto giurando di non aver mai sottoscritto l’autorizzazione al prelievo del contributo. Come spiegato da “Libero” l’arcano è presto svelato: al momento della presentazione della domanda di pensionamento (il 90% delle richieste viene effettuata da Centri di assistenza fiscale o patronati), spesso si “spunta” sui moduli l’autorizzazione. O meglio la spunta chi compila il modulo, che non è lo stesso pensionando che firma sollevato la pratica, ma il dipendente del Caf o del patronato, entità legata a doppio filo proprio ai sindacati. Non serve neppure rinnovare anno dopo anno la richiesta. Una volta accordato il consenso si resta iscritti a vita e si continua a versare l’obolo. Adesso per fortuna la revoca scatta immediatamente: l’Istituto di previdenza, con la nuova piattaforma, consente che non passino più mesi prima di sospendere il prelievo in pensione, evitando così di continuare ad alimentare il fiume di denaro che viene versato alle organizzazioni “prescelte”. “Soffiare”, 30, 40 o 50 euro l’anno per sostenere un sindacato, spesso all’insaputa dei pensionati, non è giusto . A giudicare dal tono delle protesta, per fortuna c’è chi ritiene che questa prassi debba essere resa pubblica, soprattutto per mettere in guardia i pensionati a tenere gli occhi aperti e affidarsi a professionisti. Giusto rivolgersi al Caf , ma attenzione, badiamo bene a chi c’è dietro la scrivania. (DV)
Il problema è che per non versare più la quota bisogna prima di tutto inviare una richiesta di revoca dal contributo sindacale. Una briga burocratica resa in alcuni casi più complicata dalla necessità di inviare il tutto via raccomandata alla direzione Inps di competenza indicando il sindacato (che magari neppure si conosce), allegando al modulo (che trovate in pagina), la fotocopia di un documento di identità in corso di validità.
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