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Home » L’angolo di don Diego » 15 maggio, si ricorda lo Statuto speciale della Regione Sicilia

15 maggio, si ricorda lo Statuto speciale della Regione Sicilia

Redazione Di Diego Acquisto
13 Maggio 2024
in L’angolo di don Diego
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Proprio dopodomani: festa o non festa,…comunque per la Sicilia, ogni anno il 15 maggio è una ricorrenza storica assai significativa, giudicata subito nel 1946  una conquista,  quando per questa nostra isola, si decideva di attuare una particolare forma di governo,  adatta al nostro territorio, con possibilità autonoma di potere favorirne meglio il progresso e lo sviluppo, con decisioni appropriate sull’utilizzo delle sue risorse.

A distanza di 78 anni  da quel 15 maggio 1946,  quando venne firmato l’atto costituzionale  che riconosceva alla regione Siciliana lo status di Regione a Statuto speciale, c’è veramente da interrogarsi sul senso e valore di questo strumento politico.

 Strumento che, allora,  aveva tanto  acceso gli animi di  speranza, mentre adesso in ogni ricorrenza  se  ne sottolinea la mancata applicazione.  

E pertanto c’è chi  chiede il pieno riconoscimento dello Statuto,  e chi, invece, al contrario, lo addita come causa dei mali Siciliani, chiedendone l’abolizione.

 Una discussione, in cui con sfumature diverse, si confrontano pareri diversi tra chi propende  per l’abolizione, e chi invece chiede di   rafforzarlo ed attuarlo con impegno,   come ci si proponeva  in origine, e  comunque anzitutto  riconoscerlo come una conquista,  anche  modificandolo  ed adattandolo alla nuova situazione italiana ed europea.

Ricordiamo che il 15 maggio non fu una data  scelta a caso, ma di proposito, perché era  il giorno, allora nel 1946, del 55° anniversario della famosa enciclica  Rerum Novarum   1991, di Papa Leone XIII.

 Enciclica  che, in Europa e nel mondo, e non solo in Italia,  diede  tanta  grinta e tanto coraggio a tutti,  nel  vivo allora, della problematica sulla “questione sociale”. Quando  sembrava allora,  che secondo il messaggio marxista l’unica soluzione possibile fosse solo quella della  “lotta di classe”.

 Allora, in quella situazione storica e culturale,  la parola ferma e lungimirante  di Papa Leone XIII,   con la   Rerum Novarum  indicava un nuovo percorso, partendo anzitutto della dignità della persona del lavoratore e quindi della necessità, non della lotta, ma  della collaborazione tra le classi, perché  il Papa teneva a sottolineare che “il capitale ha bisogno del lavoro ed il lavoro ha bisogno del capitale”. Quindi non lotta di classe ma collaborazione tra le classi.

Ritornando a quest’anno, alla data del prossimo 15 maggio, non possiamo trascurare quello che i Vescovi Siciliani, collegialmente, hanno  detto nel Documento che ha come  titolo il versetto biblico in cui il  profeta Isaia  per Gerusalemme   dice “Finché non sorga come stella la sua giustizia….non tacerò…non mi darò pace”.

 E nella Gerusalemme di cui parlava il profeta, i Vescovi vedevano la Sicilia del 1996,  quando ricorreva il 50° anniversario dello STATUTO della Regione Siciliana, scrivendo:   “non c’è molto, se non  proprio nulla da festeggiare”.

Ed il card. Salvatore Pappalardo, di venerata memoria,  allora presidente della Conferenza Episcopale Siciliana (CESi), presentando ufficialmente quel documento, parlava di “una sofferta constatazione, a cui, – a suo giudizio, nel 1996, era – giunta in Sicilia, cioè un preoccupante livello al negativo”.

Credo che ancora oggi su questo bisogna riflettere.

 La scelta del versetto di Isaia come titolo di quel documento, evidenziava l’indicazione dei Vescovi a voler superare la cultura del fatalismo e della rassegnazione, per far crescere quella dell’impegno e della creatività. Un’indicazione valida ieri e ancor più oggi, perché il cristiano si muove nella storia, e nella storia deve incarnare la sua fede.

Abbiamo avuto – (come osservavano collegialmente i Vescovi delle diocesi siciliane ) – forse troppi  “ politici tanto bravi nel denunciare, quanto scarsi, incapaci  ed inefficienti nel provvedere”.

 Basta con i giochi di parole e di potere; basta con  le baruffe accompagnate da giochi di prestigio a Palazzo dei Normanni, con  l’effetto di far svanire e comunque usare male, assai male i soldi pubblici.

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