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Home » Piccoli racconti di città » Teresa la battona

Teresa la battona

Lorenzo Rosso Di Lorenzo Rosso
18 Marzo 2021
in Piccoli racconti di città
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Piccole storie di città

TERESA LA BATTONA

Il mese scorso fanno sessantatre. Sessantatre anni da quel 20 febbraio del 1958, che sono state chiuse, dalla Repubblica Italiana, le case di tolleranza a seguito di una lunga battaglia, promossa dalla senatrice socialista Lina Merlin che diede poi il nome alla legge. E così anche ad Agrigento, come nel resto d’Italia, vennero, con un bisticcio di parole, chiuse le “case chiuse”, espressione quest’ultima coniata dal Governo Crispi nel 1888 che faceva obbligo alle case di piacere di tenere, per il decoro e la morale, le persiane sempre abbassate.

Nella Città dei Templi, in quegli ultimi anni, ce n’erano in funzione solo più due o tre che ancora “lavoravano” mentre quella più di lusso si trovava nel centro storico, nella piazzetta di via Atenea” ricordava bene lo scrittore Alfonso Gaglio che da giovane, al pari del suo amico d’infanzia, Andrea Camilleri, in quelle case chiuse era andato a ficcare il naso più di una volta.

Addirittura sul casino di Porto Empedocle, l’ormai famosa “Pensione Eva” dalle persiane verdi dove di giorno non si vedeva anima viva, Camilleri ha scritto perfino un romanzo di successo.

“Però i postriboli di Agrigento era diversi da quella pensione empedoclina – spiegava Camilleri. – Perché quella era un vero e proprio locale con la “Quindicina”, operazione in cui ogni quindici giorni venivano cambiate le “signorine” per alimentare la curiosità dei clienti. Nel capoluogo invece, le case chiuse funzionavano in maniera meno appariscente, un po’ come degli appartamenti privati dove lavoravano le meretrici sotto il costante controllo della maitresse!”.

La legge italiana, fin dall’Unità, aveva da sempre regolamentato l’attività del meretricio considerando i postriboli una garanzia igienica e profilattica e anche uno strano modo per coprire quella fiorente attività di sfruttamento della prostituzione, con una cortina di legalità. Anzi, il Regno aveva perfino regolamentato le tariffe delle “signorine”. Era stato Camillo Benso conte di Cavour nel 1860 a cercare di stabilire le tariffe ufficiali delle prestazioni al cliente, che la tenutaria del casino era autorizzata ad applicare. Perché, com’è noto, c’erano postriboli di prima, seconda e terza classe, alla quale corrispondeva un preciso tariffario. Alla morte di Cavour ci pensò poi il ministro Urbano Rattazzi ad aggiornare le tariffe,  proporzionandole al tempo impiegato dalla clientela per consumare l’incontro e stabilendo anche un’unità media, “da calcolarsi in minuti venti circa”.

Poi le cose cambiarono fino ad arrivare a quel 20 febbraio del 1958 in cui le “case” vennero definitivamente chiuse tra non poche proteste.

“Ad Agrigento, ad esempio – ricordava lo scrittore Alfonso Gaglio – quella decisione non fu assolutamente ben accetta, tanto che le meretrici finirono per continuare ad accontentare la loro vasta clientela aprendo bottega in quella strada sottostante via Atenea, che è la via Gallo”.

Ma case chiuse o no, l’attività del meretricio, continuò ad ispirare artisti di ogni genere, pittori, poeti più o meno maledetti, scrittori e registi. E a questo punto perché non citare quel titolo “Quando l’Italia tollerava”, un libro straordinario, scritto da Giancarlo Fusco su quel particolare periodo? Adesso qualcuno vorrebbe riaprirle, quelle case chiuse, adducendo allo scandalo dello sfruttamento della prostituzione. Di quell’epoca, almeno ad Agrigento, è rimasto solo qualche sfumato ricordo. E una vecchia canzone scritta dal nostro Giovanni Moscato, ispirata ad una di quelle, il cui ritornello fa pressappoco così: “L’unica amica che ho … è Teresa la battona …”.

LORENZO ROSSO

 

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