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Home » Cronaca » “Ravanusa, quel sottosuolo è tanto importante quanto il suolo”. Analisi del geologo Talmi

“Ravanusa, quel sottosuolo è tanto importante quanto il suolo”. Analisi del geologo Talmi

19 Dicembre 2021
in Cronaca
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Il tragico evento di Ravanusa, oltre a gettare nello sconforto l’intera comunità, ha evidenziato fragilità e criticità pregresse di un territorio. E’ quanto emerge dall’analisi del Geologo dott. Salvatore Talmi, Consigliere dell’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia.

Dott. Talmi, sotto accusa dunque il sottosuolo e la cura di cui esso necessita. Subito dopo la tragica notizia dell’esplosione che è costata nove vittime, si è iniziato a parlare di fragilità dei luoghi.

Intanto, esprimo grande solidarietà, cordoglio e vicinanza alla gente di Ravanusa, sia mia che di tutto il Consiglio dell’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia.

Ravanusa, dal punto di vista geologico e geomorfologico, rappresenta un contesto particolare. Il PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) che è lo strumento di cui noi geologi disponiamo per il monitoraggio del territorio,  avevaclassificato l’area come zona a rischio R4 (“zona attenzionata“). Le indagini , che non sono recenti ma oramai vanno avanti da ben 30 anni, hanno messo in luce un movimento franoso profondo,  di  grosse proporzioni.  Litologicamente  il centro urbano  di Ravanusa è costituito da terreni rigidi, in lento movimento, poggianti sulle argille tortoniane, plastiche e di età più antica. Mi preme fare un accorato appello alle istituzioni al fine di stanziare fondi per la prevenzione ed il contrasto al dissesto idrogeologico sicuramente incrementato dalle conseguenze del cambiamento climatico che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Un processo lento quindi che ha trovato adesso la sua causa scatenante nel cambiamento climatico.

Certamente, ad oggi , non possiamo esserne sicuri,  ma, con ogni probabilità, le incessanti piogge dello scorso mese di novembre e dell’inizio del mese di dicembre avranno provocato maggiori infiltrazioni d’acqua che imbibendo le argille sottostanti hanno, forse, favorito ed incrementato il movimento. Ipotesi che saranno suffragate da ulteriori indagini e rilievi.  

I monitoraggi effettuati qualche anno fa avevano già evidenziato il problema sulla carta morfologica. Su cosa dovremmo interrogarci?

Mi viene da dire che esiste un problema di fondo. Gli antichi costruivano in zone molto più tranquille delle nostre. A riprova di quanto, dico che le loro costruzioni sono arrivati a noi dopo 2000 anni e anche di più.  Il forte incremento delle aree urbanizzate, verificatosi a partire dal secondo dopoguerra, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale, ha portato ad un considerevole aumento degli elementi esposti a frane ed alluvioni e quindi del rischio. L’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha inoltre determinato un mancato presidio e manutenzione del territorio.

Un diverso modo di intendere e curare il sottosuolo oggi rispetto a ieri?

A tal riguardo è molto indicativo l’esempio progettuale dell’architetto Feace che, secondo la tradizione, ideò la complessa rete degli acquedotti di Akragas, comunemente chiamati ipogei, realizzata con la mano d’opera dei prigionieri cartaginesi sconfitti a Himera nel 480 a.C.. I grandi ipogei, di cui, haimè, ad oggi non esiste più una mappatura completa -nonostante il Genio Civile di Agrigento stia curando la messa in sicurezza di una parte di essi per renderli fruibili al pubblico- avevano una  triplice funzione di: drenaggio (posizionati tra le argille e le sovrastanti calcareniti, scaricavano le acque evitando, quindi, gli smottamenti); raccolta ed accumulo delle acque piovane nelle “gebbie“, evitando così carenze di acqua; creazione di ramificate vie di fuga, che da monte arrivavano fino al mare.

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