La recente e prematura scomparsa del noto musicista agrigentino Emanuele Lo Vullo ha destato profonda commozione in città. In tanti, amici, artisti, personaggi del mondo della musica e semplici cittadini che lo conoscevano lo hanno ricordato in diversi modi. In molti lo hanno fatto sui social. Alessandro Patti, Presidente della Fondazione Teatro Pirandello, che con il batterista aveva un legame speciale gli ha voluto tributare un omaggio ricordandolo dal punto di vista umano e professionale, con queste parole: “Si chiamava Emanuele, – scrive Patti- ma per tutti era Manueli; qualcuno, perché imbeccato da lui stesso, lo chiamava anche Manuvé, come faceva – urlando – la nostra amata Nonna Anna. No, non eravamo fratelli né cugini; non eravamo neppure parenti, ma probabilmente qualcosa in più. Nonna Anna era la sua nonna materna; per me l’amatissima ed indimenticabile vicina di casa, presso cui ho trascorso gran parte delle mie giornate, sino ai 14 anni. Nonna Anna viveva con le due figlie Sarina (mai sposatasi) ed Angela (rimasta ben presto vedova e da me e mio fratello Marco chiamata ‘Ngilla); la terza figlia di Nonna Anna era Giovanna, madre di Manueli e di Cettina, con la quale ero perennemente in guerra per la conquista del titolo di “cocco di Nonna Anna”.
Morale della favola: conosco Manueli da quando mia mamma scoprì di tenermi in grembo. Quando nacqui, lui aveva 15 anni ed era per me come un fratello maggiore, che vedevo però di rado, come se fosse partito in guerra e di tanto in tanto tornasse a casa. Effettivamente lui era partito in guerra; la guerra per la conquista del mondo, attraverso la musica. Io invece ero da Nonna Anna, a combattere contro sua sorella Cettina che, dal giorno del mio arrivo, cominciò ad intensificare la sua presenza dalla nonna, vedendo traballare il suo trono.
Alla stregua dei reduci di guerra che raccontano le loro storie e gli aneddoti, quando appariva da Nonna Anna Manueli mi raccontava le sue storie: narrava dell’amore viscerale e misterioso per la batteria; amore contrastato da suo padre. A quei tempi, la musica era roba da sfaccendati, che comunque non avrebbe mai permesso di campare dignitosamente. Ed allora Manueli trovava rifugio da Nonna Anna e dalle zie e, con le pentole, i coperchi e qualche sedia, si costruiva la sua batteria e suonava.
Di lì a poco, quando compì 14 anni, mio padre lo mise sotto la sua ala protettrice e lo trascinò al Valle dei Templi, il gruppo folk da lui diretto. Manco a dirlo, Manueli suonava il tamburo e ben presto, coniando una tecnica in parte mutuata da un suonatore di tammorra napoletana ed in parte inventata da lui (facendo in modo che i cimbali del tamburo suonassero come il charleston della batteria), divenne il più straordinario suonatore di tamburo siciliano che abbia mai ascoltato in vita mia. Da quel giorno e sino ad oggi, tutti – e dico tutti – i suonatori di tamburo dei vari gruppi folk, fors’anche a loro insaputa, usano o piuttosto tentano di usare la tecnica di Manueli Lo Vullo.
Frattanto Manueli era riuscito ad avere una vera batteria e, benché autodidatta, manifestò subito il suo gran talento ed estro e si inserì rapidamente in varie band locali emergenti e di buon livello.
Parallelamente, tramite il gruppo Valle dei Templi, si ritrovò in contatto con amici di mio papà: Pippo Flora, Franco Caponnetto, Sasà Grenci, Pietro Puma; cioè gli stessi personaggi che hanno pilotato e segnato in maniera indelebile e tuttora tangibile il mio percorso musicale.
Furono anni, quelli dei primi ’70, cruciali per la formazione ed esplosione musicale di Manueli: spaziava dal folk al pop, passando per i musical americani ed il jazz. Grazie al suo talento fuori dal comune, riuscì a crearsi un suo personalissimo groove, frutto della miscellanea di questi vari generi e della sua straordinaria capacità di elaborazione e personalizzazione.
Venne notato a livello nazionale e visse l’esperienza da turnista appresso a nomi di grosso calibro. Spariva dalla circolazione per mesi e mesi, impegnato tra tournées, concerti e sessioni in sala d’incisione. Ma poi mollava tutto e tornava ad Agrigento, a farsi coccolare dalle sue donne. Le donne! Mamma Giovanna, nonna Anna, le zie Sarina ed Angela, la sorella Cettina; un ambiente matriarcale, specie dopo la scomparsa del papà. E poi le tante ragazze di cui amava contornarsi: quelle del gruppo folk, più in là quelle dell’accademia di Pippo Flora e costantemente quelle dei gruppi folk stranieri, conosciute in giro per il mondo col Valle dei Templi o semplicemente a casa, in tempo di Sagra del Mandorlo in Fiore!
La Sagra…Ben presto Manueli, che aveva le carte in regola per affermarsi stabilmente nel circuito dei migliori turnisti d’Italia, venne da alcuni ritenuto un soggetto poco affidabile, perché nei momenti topici (cioè Febbraio con Sanremo ed i mesi estivi coi concerti e le tournées dei vari cantanti) mollava tutto e tutti e tornava ad Agrigento; a febbraio per la Sagra, in estate per le gite all’estero col Valle dei Templi! Ma lui non era poco affidabile: stava semplicemente facendo una scelta, mettendo Agrigento e la sua vita qui prima di tutto e tutti.
Ricordo ancora i cazziatoni che si prendeva da mio padre; ma lui era risoluto ed irremovibile: gli bastava sapere di aver dimostrato di essere uno dei migliori batteristi in circolazione. Dopodiché, la sua vita era ad Agrigento, con la sua famiglia, le sue donne, la Fiat 127, il gruppo folk Valle dei Templi, la Sagra. Quanto alla musica, il suo eclettismo e la disinvoltura nel passare dal folk al rock, al jazz, gli consentiva di guadagnarsi “u chichiru” e vivere dove stava bene; cioè a casa.
Insomma, andò a finire che il braccio di ferro tra lui e mio padre lo vinse lui; anzi, chissà forse per ripicca, riuscì financo a coinvolgere suo figlio (cioè me) nelle sue scorribande: nei primissimi anni ’80, per due volte alla settimana ed a mezzogiorno, veniva a prelevarmi a scuola presentandosi come mio cugino e portandomi con sè al Villa Athena dove, con Giacomino Cutaia, ‘u Cavaleri Cummo e Tano Ferlisi (cioè musicisti da paura!) animavamo i pranzi dei gruppi di turisti. Tornavamo a casa con 15mila lire in tasca, un pranzo offerto dal Villa Athena e tante ma tante risate!
Nel 1984, a Drummondville in Canada, incontrammo il gruppo polacco di cui faceva parte Malgorzata. Fu così che Manueli, noto tombeur de femmes, scoprì di aver incontrato il vero amore. Iniziarono così le sue missioni d’amore in Polonia, rigorosamente in auto e viaggiando in compagnia dell’amico di sempre Giacuminu Cutaia (che frattanto aveva conosciuto Ilona, anch’ella polacca) e Leroy, al secolo Lillo Rizzuto. Ogni volta, il loro ritorno a casa era un’interminabile narrazione di aneddoti e siparietti degni del più esilarante cabaret; su tutti, dominavano le scenette al valico di confine, con la Polizia di frontiera a Tarvisio, che Leroy aveva ribattezzato “Tarcisio”.
Manueli e Malgorzata decisero di sposarsi e Manueli per poco, solo per poco, capì che era il caso di mettere la testa a posto.
Si imbarcò sulle navi da crociera (come batterista, ça va sans dire), stando per mesi e mesi lontano da casa e racimolando così un bel gruzzoletto. Nella primavera del 1986 accadde addirittura l’inimmaginabile: Manueli sacrificò sull’altare dell’imminente matrimonio la sua presenza alla gita in Tennessee col gruppo folkloristico. Lì capimmo che era vero amore, essendo Malgorzata
riuscita in ciò in cui financo Anna Oxa all’apice del successo aveva capitolato: far saltare a Manueli una gita all’estero col gruppo folk!
Durò poco, perché dopo soli due mesi Manueli manifestò platealmente il suo pentimento, lasciando la sposina a casa con mamma Giovanna e venendo col gruppo a Nizza per dieci giorni!
Venne anche il tempo degli anni bui, che condussero poi alla perdita di Malgorzata ed al suo lento ma implacabile declino.
Ritrovatosi da solo, cominciò a fare i conti con la sua vita e le sue sregolatezze, senza le quali però non sarebbe mai stato il Manueli che tutti noi adoriamo e ricorderemo per sempre.
Provai a stanarlo dal suo torpore emotivo, senza mai dirgli quali fossero le altre mie vere intenzioni: gli dissi soltanto, in un momento in cui anche la musica pareva aver iniziato a voltargli le spalle, che i Patty Singers avevano bisogno del miglior batterista in circolazione; dell’unico in grado di dare al gruppo il giusto sound e l’inimitabile groove. Feci appena in tempo ad immortalarlo in foto, a futura memoria, circondato ed amorevolmente assaltato dai nove figli delle Patty Singers. Già, proprio lui, che si vantava di provare repellenza per i bambini! E lì partiva la carrellata di aneddoti, con l’innumerevole serie di bacchettate sulle mani rifilate ai bambini che, ai matrimoni, andavano ad importunarlo mentre suonava.
Epperò, Manueli era irrimediabilmente prigioniero del suo personaggio ed il suo smisurato orgoglio non gli consentiva di allontanarsene più di tanto.
Feci un altro tentativo l’anno scorso, in occasione della serata d’onore al Teatro Pirandello in memoria di Pippo Flora: non riuscivo ad immaginare nessun altro batterista che potesse affiancare il mio pianoforte per eseguire ‘u Cantu d’a Vallata ed altri brani tratti dal musical Nela e Sahabin.
Mi frappose mille ostacoli; riuscii a smontargliene 999. Dinanzi al millesimo, alzai bandiera bianca.
Lo rimpiazzai, seppur al cajon e non alla batteria, con l’unico che nel mio cuore poteva farlo: mio figlio Marco, apprendista batterista (pure lui; è una congiura!) che mi chiede sempre di parlargli di Manueli.
Oggi do l’estremo saluto terreno ad un pezzo della mia vita, Ma con alti e bassi, chiari e scuri, è un pezzo bellissimo, che porterò sempre nel mio cuore.
Ciao Manue’….e salutami nonna Anna!”
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