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Home » Cronaca » “Maccalube non doveva essere aperta”, ecco le motivazioni della sentenza che portò alla condanna

“Maccalube non doveva essere aperta”, ecco le motivazioni della sentenza che portò alla condanna

16 Giugno 2018
in Cronaca
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Condannati Domenico Fontana, all’epoca dei fatti presidente regionale di Legambiente, ente che gestisce la riserva in base a un contratto con la Regione, e l’operatore del sito Daniele Gucciardo.

Esplosione vulcanelli: una sentenza annunciata (Editoriale) | VIDEO

 

“Era urgente e necessario un accertamento in merito alle condizioni di sicurezza per la fruizione dell’area che giustificava un blocco sine die delle visite finché non fossero stati elaborati livelli di esposizione al rischio compatibili con l’esigenza di salvaguardare vite umane”. Il Giornale Di Sicilia ha pubblicato le motivazioni della sentenza, emessa lo scorso 30 gennaio, che il giudice Giancarlo Caruso, ha depositato in tribunale. 
Una sentenza che come ricorda lo stesso giornale, ha portato alle condanne  a 6 anni di reclusione l’architetto Domenico Fontana, all’epoca dei fatti presidente regionale di Legambiente, ente che gestisce la riserva in base a un contratto con la Regione, e a cinque anni e tre mesi l’operatore del sito Daniele Gucciardo. Assoluzione, invece, per il funzionario della Regione, Francesco Gendusa. Fontana e Gucciardo, secondo il giudice, sono responsabili della morte di Carmelo e Laura Mulone, i fratellini di 9 e 7 anni, travolti da un’ondata di fango, successiva all’esplosione di un vulcanello, mentre facevano una passeggiata insieme al padre, il 27 settembre del 2014.

“L’affermazione – si legge nella sentenza – ripetuta alla stregua di un mantra consolatorio e sbandierata come un’improbabile difesa alle accuse contestate, secondo cui ciò che era accaduto il 27 settembre 2014 era assolutamente imprevedibile perché alle Macalube nessuno si era mai fatto del male, appare la palese estrinsecazione della superficialità con cui il tema della sicurezza delle persone era stato declinato nella concreta gestione da parte del personale della riserva”. Il giudice sottolinea: “Ripararsi sotto l’ombra della benevole sorte che aveva preservato l’indiscriminata comunità dei fruitori (fra cui, negli anni, decine di scolaresche), lungi dal rispondere alla possibile logica del caso fortuito in chiave di esclusione della responsabilità, costituisce un segnale chiaro ed inequivocabile dell’omissione di qualsivoglia forma di attenzione e tutela per l’incolumità delle persone che avevano frequentato quel sito”.

Ed ancora “Ad essere completamente inadeguato non era solo il sistema di asserita salvaguardia dell’ambiente naturale ma anche e soprattutto quello a garanzia dell’incolumità dei fruitori. L’esistenza di una barriera, ancorché precaria – sottolinea il giudice Caruso – in grado di frapporre una distanza minima dalla sede dell’esplosione, avrebbe potuto esercitare un’incidenza rilevante, quantomeno in termini di mitigazione del rischio, sugli eventi verificatisi il 27 settembre 2014. In altre parole, l’ipotesi che, al momento dell’esplosione violenta, Mulone, insieme ai suoi bambini, fosse posizionato ad una distanza di almeno dieci metri dai vulcanelli, non poteva che ridurre la portata del pericolo dagli stessi subito nelle fasi concitate e drammatiche che seguivano il ribaltamento, e così aumentare le possibilità per gli stessi di mettersi in fuga”.

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