Reduce dal Leone d’oro a Venezia e proiettato verso gli Oscar arriva nelle nostre sale “ la stanza accanto”, il primo film girato in lingua inglese da Pedro Almodovar, uno dei più grandi cineasti contemporanei. Il regista sceglie di affrontare una tematica scomoda e divisiva, quella dell’eutanasia, non rinunciando a disseminare la pellicola di quegli elementi che hanno reso inconfondibile il suo cinema, in primis l’essere dissacrante nei confronti dell’ordine costituito e delle convenzioni sociali e religiose. Martha è una reporter, corrispondente di guerra, alle prese con la fase terminale di una malattia e di fronte alla scelta consapevole, dopo aver affrontato infruttuosamente una terapia sperimentale, di interrompere il suo percorso terreno con un atto estremo, liberatorio delle sofferenze fisiche, ovvero assumere una pillola letale. Per compiere questo gesto ottiene la complicità di un’amica di gioventù, Ingrid, scrittrice di successo, con la quale esiste un legame forte, sincero, sopravvissuto anche al passaggio dello stesso uomo nelle loro vite sentimentali. Per realizzare il loro intento le donne si ritirano in una villa isolata dove Martha dovrà scegliere il momento in cui interrompere la propria vita, con il conforto della presenza di Ingrid nella stanza accanto. Durante la convivenza le donne ripercorrono le loro vite, analizzando in particolare le circostanze e le incomprensioni che hanno creato un solco tra una madre imperfetta e una figlia rancorosa che non ha perdonato alla madre l’assenza del padre nelle loro vite. Almodovar inserisce alcune tematiche ricorrenti nel suo cinema, ma lo fa forzatamente senza che questi accenni siano veramente funzionali alla storia: ad esempio la presenza dei due carmelitani nei ricordi di Martha delle zone di guerra narrato per inserire l’elemento della omosessualità, ed affermare l’esigenza dell’attività sessuale anche nei momenti più tragici della vita. E ancora la figura dell’investigatore fanatico religioso tanto da dare per scontata la complicità di Ingrid nell’eutanasia prima ancora di avere prove concrete. Ne viene fuori una pellicola intensa che però non entra nel cuore dello spettatore e scorre senza sussulti fino all’epilogo della storia ed i momenti più belli restano i dialoghi tra le due donne e quelli di Ingrid con Michelle che comprende, quando ormai è troppo tardi, le dolorose scelte compiute dalla madre. Ottime le performance delle due protagoniste Tilda Swinton e Julianne Moore, e splendida l’ ambientazione conclusiva della villa dove spicca un quadro di Hopper quasi ad illuminare le vite delle due donne della stessa meravigliosa luce della tela. Notevoli anche tutti i riferimenti culturali che il regista dissemina lungo la pellicola fin dalla scena iniziale in libreria, alle visioni cinematografiche della coppia in cui appare l’enigmatica maschera di Buster Keaton per finire con la neve che cade dalle pagine di Joyce e del suo eterno“gente di Dublino”. (Maurizio Arena)
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