AGRIGENTO. Il 19 luglio 1966 una frana interessò Agrigento nella sua parte alta: la collina occidentale, nei quartieri del Rabato e dell’Addolorata. Per fortuna un netturbino, Francesco Farruggia, diede l’allarme salvando la vita di numerose persone. Erano anni di emigrazione e insieme di crescita, In massa lasciavano la città ma intanto vi si costruivano decine di migliaia di vani, molti in contrasto con le norme. Nel centro storico e a scendere verso l’area dei templi greci. La frana trascinò a valle circa 20 ettari gran parte edificati: quattro edifici crollarono, numerosi altri subirono danni irreparabili; strade e chiese rimasero inagibili. Oltre settemila sfollati in due tendopoli visitate da Moro, Saragat e diversi ministri. Il Comune fu commissariato, governi regionale e nazionale legiferarono per assistere e proteggere le persone ed il suolo per il futuro.
A distanza di 53 anni della frana che ha colpito il centro storico della città di Agrigento, la Curia ha organizzato un convegno – non per rievocare il passato – ma per fare il punto sul presente, guardando anche al futuro. L’iniziativa si terrà venerdì 19 luglio alle 19 nell’atrio del seminario di piazza Duomo. Interverranno per i saluti: il cardinale Francesco Montenegro – arcivescovo di Agrigento; il sindaco Calogero Firetto, don Giuseppe Pontillo – Direttore Ufficio beni culturali ecclesiastici della Curia di Agrigento. L’introduzione sarà a cura di Adele Falcetta – presidente della Sezione di Italia Nostra di Agrigento. Le relazioni saranno curate da: Rino La Mendola – Ingegnere Capo Genio Civile di Agrigento; Alfonso Cimino – Presidente Ordine Architetti di Agrigento: Alessia Cilona – Università degli Studi di Palermo e Giuseppe Cacioppo – Vice Sindaco Comune di Sambuca di Sicilia.
“Il nostro centro storico – si legge nella nota introduttiva del convegno che è organizzato, oltre che dall’Arcidiocesi anche dall’Amico del popolo e dall’ordine degli architetti – è in attesa di una riqualificazione che gioverebbe all’intera città. Ma cosa si sta facendo in proposito? Parleremo di esempi virtuosi di rigenerazione e cercheremo di ragionare con concretezza, individuando quali percorsi potrebbero condurre Agrigento ad avere un centro storico finalmente risanato e vitale”. A distanza di più di mezzo secolo però, tra i residenti è vivo il timore che possa ripetersi, anche se in altro punto, quello che accadde nel 1966. 4A preoccupare è lo strato superficiale calcarenitico che riguarda la composizione dello strato sottostante la cattedrale. “Il problema nasce da una base poggiata su dei riporti che hanno colmato le depressioni naturali nel tempo – spiega il geologo Salvatore Rotolo, consigliere dell’Ordine regionale dei geologi di Sicilia – lo strato calcarenitico per effetti esogeni come l’infiltrazione d’acqua nelle fessure determina un indebolimento del costone e conseguenti rotture e abbassamenti dei costoni, come si nota all’interno di un ipogeo sotto la curia”.
I NUMERI DELLA FRANA
Mille e duecento famiglie persero la casa, alla fine si contarono ottomila senza tetto. Palazzi interi si sbriciolarono, miliardi di lire di danni, e uno strascico di polemiche, ma nessun condannato, nessun responsabile per quello rimasto famoso come “il sacco di Agrigento”, il caso italiano più eclatante di dissennato abusivismo edilizio. Solo un mulo quel giorno pagò con la vita, perdendola per il crollo di un tetto. Gli studiosi hanno poi ricostruito momento per momento quel disastro: “alle 7, all’estremità occidentale del centro urbano, si manifestano i primi segni di un movimento franoso che provoca dissesti e crolli di edifici, alcuni dei quali ancora in costruzione. Secondo la commissione d’inchiesta «il movimento franoso cominciò a manifestarsi con alcuni segni premonitori. Questa fase preliminare, durata alcuni minuti, ha consentito alla popolazione di mettersi in salvo.
foto agrigentoierieoggi
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