Denuncia documentata di un ex politico: “Il crollo figlio di negligenza e piani sbagliati. Ignorato il valore dell’edificio”
AGRIGENTO – Una voce autorevole e documentata rompe il silenzio sul crollo dell’ex ospedale di via Atenea, oggi sede universitaria in ristrutturazione. A parlare è Lillo Miccichè un ex consigliere comunale, profondo conoscitore del centro storico agrigentino, che con documenti, fotografie e appunti risalenti agli anni ’90, accusa pubblicamente: “Quell’edificio è stato trattato come una catapecchia qualsiasi”.

Secondo l’ex politico, il crollo avvenuto giovedì 15 maggio sarebbe la conseguenza di scelte sbagliate, negligenze tecniche e una visione miope del Piano Particolareggiato del Centro Storico approvato a inizio anni ’90. “Una tragedia evitata solo dal caso: il cantiere era chiuso. Ma chi risarcirà lo spavento e lo sfollamento di intere famiglie del Vicolo Ospedale Cavalieri di Malta?”, si chiede, ricordando come il muro crollato fosse parte dell’antica abside della chiesa di San Giovanni Battista, trasformata poi in ingresso dell’ospedale dopo la sconsacrazione del 1867.
L’ex consigliere, che è stato anche parlamentare regionale, celebri le battaglie per l’acqua, ripercorre la storia del complesso, dalle origini medievali come sede dei Cavalieri Teutonici e successivamente dei Cavalieri di Malta, fino alla gestione ottocentesca e alla trasformazione in struttura ospedaliera provinciale. “Nel mio libro ‘Girgenti. Le Pietre della Meraviglia… cadute’, ho già denunciato le manomissioni e le superfetazioni moderne che hanno alterato l’identità dell’edificio”, sottolinea.
Al centro della sua denuncia, c’è l’intercapedine originaria tra il muro nord dell’edificio e la roccia tufacea. “Quello spazio – dice – serviva ad evitare l’umidità, ma è stato riempito con terreno di risulta, senza indagare sulla stratigrafia. Gli scavi recenti per una cisterna, a due metri sotto la fondazione dell’antico abside, sarebbero stati eseguiti senza verificare la tenuta del terreno. Una leggerezza imperdonabile”.
Accusa apertamente la mancanza di controllo sui lavori e una politica urbanistica che, a suo dire, ha ignorato le osservazioni tecniche protocollate nel 1991 e nel 1992, in cui chiedeva maggiore tutela per le emergenze architettoniche. “Se il Piano avesse previsto la demolizione delle superfetazioni moderne e il consolidamento alla base, oggi non staremmo parlando di un crollo così catastrofico”, afferma. Ma l’ex consigliere va oltre: “Nel cantiere si è scavato a ridosso di blocchi in tufo senza sapere se dietro ci fosse roccia o materiale instabile. Nessuno ha chiesto di applicare l’articolo 12 del regolamento comunale, quello sul restauro delle emergenze monumentali. Io stesso, all’epoca, chiesi che fosse aggiunto al Piano”.
Nel finale del suo intervento, arriva una proposta: niente ricostruzione forzata, nessun maquillage posticcio. “Non si ricostruisca ciò che non ha valore storico, si metta in sicurezza il vicolo e le case private, ma si eviti di gonfiare l’appalto. Si proceda invece con rigore, scavi mirati e consolidamento intelligente”. Un contributo che richiama a memoria, responsabilità e visione. Perché, come scrive amaramente: “Agrigento non ha mai avuto vittime per i suoi crolli. Forse per miracolo. I miracoli spettano ai santi, chi amministra deve prevedere, pianificare e controllare”.
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