Sono comodamente seduto su di una poltroncina del Terminal 2 dell’aeroporto di Berlino intorno all’ora di pranzo e mentre approfondisco sul web alcune note storiche e biografiche di Adenauer, il primo Cancelliere della Germania Ovest e padre dell’Atlantismo europeo, mi arriva un messaggio WhatsApp di un caro amico che mi chiede: “Com’è Berlino, ti è piaciuta?“.
Eludo la risposta immediata, non perché non so cosa rispondere, ma perché sono talmente immerso nella lettura storica, che mi sembra assai banale “replicare”. Continuo, pertanto, a leggere fino a quando giunge il tempo di imbarcarsi. Riprendo, così, tra le mani lo smartphone, quando ho già preso posto sul velivolo e, prima di mettere la modalità aereo, rispondo al messaggio, non con una risposta, ma con una foto di un albero di Natale splendidamente illuminato, che “spezza” l’integrità dell’immagine della porta di Brandeburgo.
Questo perché la domanda non è proprio consona, perché Berlino esce dagli stereotipi architettonici delle grandi capitali, perché la sua storia va ben oltre la sua “angolatura” estetica, comunque robusta ed affascinante, ma questo non può certo saperlo chi non ha visto Berlino, chi non ha calpestato l’asfalto di quella città. Berlino non è infatti una città come le tante, non ha un centro, è una città “policentrica” oltre che smisurata, dove ogni grande quartiere ha la sua piazza, il suo punto strategico.
È una città “pesante”, impegnativa, da studiare, da osservare, da contemplare. Non c’è il monumento famoso in tutto il mondo, non c’è il punto panoramico incantevole, non trovi il ponte magnificente e futuristico, non trovi reperti di archeologia prestigiosi e dalla grande bellezza stilistica, non vedi i bei palazzi di Vienna o di Stoccolma. Niente di tutto ciò; e questo lo percepisci non appena arrivi.
Ti “accoglie” un aeroporto essenziale, silenzioso, dalle altissime pareti lineari e grigie che fanno quasi il paio col colore del cielo. Venti minuti circa e sei in città, dove emerge sin da subito (ancora oggi…) il conflitto degli stili, il contrasto tra le due città, la Berlino Est e la Berlino Ovest.
Poi, via via, questi due contrasti si fondono fino a coesistere, come avviene a Postdammer Platz, uno dei punti più importanti della città, dove la nuova architettura dei palazzi di Renzo Piano si mescola ad edifici vecchi, che portano ancora le ferite della Seconda Guerra Mondiale. Berlino è una città dove ogni metro ti racconta una storia; è come un libro di immagini che, mentre cammini, si dispiega davanti a te ed anche sotto di te.
Certo, anche sotto, perché cammini sui sentieri della storia, dove sostavano i carri armati sovietici ed a poche decine di metri, quelli americani. Siamo al Check Point Charlie (posto di blocco n. 3), dove una gigantografia ritrae da un lato il viso di un militare sovietico e dall’altro quello di un militare americano. Nessuno poteva attraversare quel fronte dopo l’elevazione del muro, solo gli ufficiali militari. I cittadini no, quelli erano un dettaglio, non avevano neanche la libertà di salire su di un marciapiedi per raggiungere un parente o un amico dall’altra parte della barricata.
I segni di quel “muro della vergogna” li trovi a terra, nella cosiddetta “cicatrice”, un percorso tortuoso lunghissimo di piccole pietre che disegnano il tracciato del vecchio muro abbattuto nel 1989. Ma, a tratti, quel muro lo vedi ancora integro, magari bucato, smembrato, con i ferri che fuoriescono come spine ispide, con un impatto feroce, che “dipingono” quella barbarie immane. Poi arrivi all’ East Side Gallery, la spettacolare galleria commemorativa, con i graffiti che colorano più di cento metri di muro, che costeggia lo Sprea, ossia il fiume che attraversa Brlo, come si chiamava anticamente.
Oggi è tra le mete turistiche più gettonate oltre che fotografate. È l’epicentro della street art, della memoria storica, della vittoria della libertà sulla sottomissione. Mentre percorro a piedi la città, guardando ora a destra, ora a sinistra, si erge lungo la Wilhelmstraße, un’opera di architettura contemporanea: una robusta banda d’acciaio alta 17 metri che dall’alto verso il basso “disegna” il profilo di Georg Elser, artigiano e patriota tedesco, oppositore del Führer, morto nei campi di concentramento, colui che per poco non riuscì a farlo saltare in aria con lo scoppio di un ordigno (il fallito attentato nella birreria di Monaco).
E così “sbatti” contro la ferocia di Hitler, ma quel profilo che si illumina ogni sera, raffigura l’eroe vero, quello che stava dalla parte giusta, contro il fanatismo nazista. Di chi invece “albergava” nella parte sbagliata, a cominciare dal suo capo, non c’è alcuna traccia: nulla che sia ad egli riconducibile. A cominciare dalla sede della Cancelleria: inesistente.
Ed è proprio difronte a quella che fu la sede istituzionale del Nazismo, che i tedeschi hanno fatto erigere questo monumento in spregio ad Adolf. I Russi, pertanto, hanno bombardato tutto, ma i tedeschi hanno cancellato anche le rovine, la memoria vergognosa della dittatura, rimettendo in piedi, ex novo, una metropoli, dove ogni tanto girandoti vedi svettare imperiosi sui grattacieli, i simboli dell’Automotive tedesca: Mercedes, Audi, Volkswagen, Porsche, BMW, gli artefici del miracolo economico.
Berlino prova ribrezzo per il Führer, come se non lo conoscesse, come se non appartenesse alla Nazione. È rimasto in piedi, soltanto il palazzaccio dell’aviazione nazista, che i russi, per ragioni strategiche, scelsero di non abbattere. Oggi è la sede del Ministero delle Finanze, ma appena accanto sorge l’edificio della “Topografia del terrore” che racconta l’assurdità dell’Olocausto.
Questa è Berlino, dunque! Una città dalle ferite ancora aperte, una città dove le sofferenze sono scolpite in ogni dove, una città in cui su alcuni edifici, vedi ancora i buchi perpetrati delle mitraglie, le chiese senza cupole, gli edifici più antichi in stile prussiano, deturpati dai bombardamenti. Ecco perché ho risposto con una semplice foto a chi mi chiedeva di Berlino. Berlino non è una città tradizionale; è la descrizione plastica della storia del 900, che è anche la nostra storia, l’epicentro del conflitto tra i due mondi, i due blocchi; è la capitale ‘in pectore’ dei futuri Stati Uniti D’Europa, ma soprattutto è la capitale della libertà, quella conquistata dopo milioni e milioni di uomini caduti nelle guerre.
Berlino oggi rappresenta la conquista sofferta della democrazia, ci spiega come la libertà sovrana dell’individuo venga prima di ogni forma di governo, che ogni totalitarismo usurpa quella libertà sacra, intoccabile, centrale nel destino dell’uomo. La libertà è il fondamento della vita e nessuno può arrogarsi il diritto di negarla. Ecco perché i berlinesi sono fierissimi del Bundestag e della porta di Brandeburgo, i due simboli sacri della Repubblica Tedesca.
Il primo, col tetto in vetro, è l’emblema della Democrazia, il cuore delle istituzioni liberali; il secondo è il simbolo della ritrovata libertà, quasi in onore di quanti, purtroppo, non videro la riunificazione delle due città prima e delle due Germanie dopo. Berlino è una città patrimonio del mondo, è quasi un santuario, va visitata con disciplina, silenzio, rispetto, quel rispetto sacro che si deve alla storia, quel rispetto che si deve ai caduti.
Questa città “sacra”, ha costituito il laboratorio biologico di questo valore inestimabile dell’uomo, oltre ogni bomba, oltre ogni muro. Per questo, quelle tracce di muro grigio che rimangono sparse per la città, vogliono rappresentare, ancora oggi, la miseria delle dittature, la banalità del male, per questo non vengono rase al suolo, perché devono costituire un ammonimento visivo, quasi un invito a capire.
A Berlino, pertanto, oltre ai suoi sontuosissimi viali, da Unter den Linden a Kurfürstendamm, oltre ai suoi quartieri, da Charlottenburg a Nikolai, dall’ elegantissimo Mitte al raffinato quartiere ebraico, dove spicca la sinagoga ed il cortile della memoria di Anna Frank, oltre ai suoi musei stipati sull’isola che costeggia lo Sprea, oltre l’immensità del Tiergarten, oltre la magnificenza del Duomo, la sontuosità di Gendarmenplatz o di Bebelplatz, oltre la Torre della televisione, la vivacità di Alexanderplatz, oltre la frenesia di una città cosmopolita, ricca di musica, arte, cinema, teatro, vedi la storia schiudersi, e rifletti, rifletti tanto.
Ti regala molto Berlino, più di ogni altra città europea, ti regala l’emozione del sentimento della libertà, ti dà l’esatta dimensione etica e politica della democrazia, te la spiega con veemenza, dandoti lo slancio per portarla fuori dalla città, ovunque tu vada.
È un messaggio efficace e quasi mistico, che in silenzio, ti lascia, in ossequio alla visita ricevuta.
Carmelo Sgarito












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