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Home » Cronaca » Musacchio: “Le cosche decidono chi può lavorare e chi no”

Musacchio: “Le cosche decidono chi può lavorare e chi no”

18 Dicembre 2024
in Cronaca, Mafia
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Le indagini antimafia che hanno coinvolto l’Agrigentino, il Trapanese e il Nisseno hanno svelato un aspetto inquietante del controllo mafioso sul territorio: le cosche decidono chi può lavorare e chi no. Oltre al traffico di stupefacenti e al racket delle estorsioni, i boss arrestati nell’operazione erano anche protagonisti di una vera e propria intimidazione alle assunzioni nelle imprese locali. Le mafie, attraverso il cosiddetto “welfare mafioso”, stabilivano i rapporti lavorativi tra le aziende e le persone da impiegare, creando un circolo vizioso di potere che si radicava anche nel tessuto economico della zona.

A spiegare questo meccanismo è Vincenzo Musacchio, criminologo forense e giurista, che analizza il modus operandi dei clan: «Stabilire a chi dare lavoro e a chi no significa essere punto di riferimento per chi non beneficia delle politiche economiche e sociali che dovrebbero essere erogate dallo Stato. Le mafie, promettendo occupazione, rafforzano il loro consenso e il potere che ne deriva», spiega Musacchio, membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.

Il criminologo intravede anche un secondo fine nelle dinamiche mafiose: le mafie non solo controllano il lavoro, ma creano una politica clientelare che si inserisce anche nelle competizioni elettorali. «Imponendo le assunzioni, i boss si garantiscono una base di consenso che può influenzare anche il panorama politico. Inoltre, concedendo prestiti alle piccole e medie imprese, orientano le assunzioni a loro piacimento», aggiunge Musacchio.

Ma come si presenta il rapporto tra le aziende e le mafie quando queste impongono chi lavorare? «Ci sono entrambe le dinamiche: la subalternità, che oggi è più ottenuta con la corruzione che con la violenza, e la commistione. Il moderno sodalizio mafioso è in grado di integrarsi nel contesto locale, evitando di ricorrere ai metodi classici della criminalità. La connivenza tra mafie e società civile è il vero grimaldello per il controllo del territorio», spiega ancora Musacchio.

Il danno per il tessuto imprenditoriale è profondo. Le mafie, con il loro potere economico derivante da affari illeciti, inquinano e falsano il libero mercato, distorcendo la concorrenza in vari settori. «Quando un’impresa vicina a Cosa Nostra si aggiudica un appalto, esclude dal mercato aziende rispettose della legalità e influenza la formazione dei prezzi e la qualità dei prodotti», denuncia Musacchio.

Nonostante questi danni evidenti, in alcune aree del Paese sopravvive ancora il mito della mafia che offre lavoro e sviluppo. «Questo è il risultato di un’ignoranza diffusa. Le mafie sono il più grande ostacolo allo sviluppo economico di un territorio, generando disoccupazione e crisi economiche. Le regioni a tradizionale radicamento mafioso, come Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, sono un esempio lampante di quanto dannoso sia il loro potere», osserva Musacchio.

Cosa si può fare per uscire da questa situazione? «Le leggi da sole non sono sufficienti. Non possiamo delegare tutto al diritto penale», avverte il criminologo. «In Italia manca una coscienza civile forte sul fenomeno mafioso. Le denunce arrivano principalmente da enti pubblici, sindacati e forze di polizia, ma le iniziative sociali sono pressoché assenti. Questo immobilismo è preoccupante».

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