Emergono particolari sull’operazione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Agrigento che ha inferto un duro colpo a Cosa Nostra agrigentina, con l’arresto di 23 persone accusate di appartenere all’organizzazione mafiosa e di traffico di stupefacenti. L’operazione, che ha visto l’esecuzione di numerosi fermi e perquisizioni, ha portato alla luce una serie di crimini, tra cui estorsioni, minacce, incendi e danneggiamenti, tutti finalizzati a mantenere il controllo sul territorio. In particolare, sono emerse pressioni sulle imprese locali, come la ditta di rifiuti del Comune di Agrigento, per l’assunzione di operai legati ai clan mafiosi.
Secondo le indagini, i vertici delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento-Villaseta, capeggiate da Fabrizio Messina e Pietro Capraro, avrebbero anche diretto due associazioni dedite al traffico di droga, guadagnando il monopolio nel mercato di stupefacenti nella provincia di Agrigento. Sono stati sequestrati oltre 100 kg di hashish, 6 kg di cocaina e 120.000 euro in contante, nascosti in pacchi sottovuoto all’interno di un’auto.
L’operazione ha rivelato anche l’intensificazione delle minacce e intimidazioni, con atti di violenza, come i colpi di arma da fuoco esplosi per scopi dimostrativi e intimidatori, e l’alto rischio di una guerra di mafia imminente. Nonostante gli arresti e le difficoltà, i boss detenuti riuscivano a mantenere il controllo sui clan grazie all’uso di telefonini in carcere, continuando a impartire ordini e a organizzare attività criminose dall’interno delle carceri. L’intervento delle forze dell’ordine ha dunque evitato l’escalation violenta e ha messo un freno a una guerra mafiosa che avrebbe potuto devastare ulteriormente la provincia.
I particolari delle indagini sul blitz antimafia: 23 fermi e un rischio di guerra tra clan
Le indagini condotte dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo dei Carabinieri di Agrigento hanno portato all’emissione di 23 provvedimenti di fermo da parte della DDA di Palermo. I destinatari inizialmente identificati erano 30, ma quattro si trovano già in carcere e tre all’estero, mentre per altri 20 indagati non è stato ancora emesso alcun provvedimento. Le accuse nei loro confronti includono associazione mafiosa, estorsioni e traffico di droga.
Uno degli aspetti più preoccupanti emersi dalle indagini riguarda il rischio di una guerra di mafia. La DDA ha infatti riscontrato segni evidenti di una crescente tensione tra i clan, che erano ormai giunti a un punto di rottura per gli sconfinamenti nei territori rivali, territori che, storicamente, erano stati perfettamente spartiti. L’improvvisa e allarmante recrudescenza di atti intimidatori, tra cui l’uso di armi, sarebbe stata dovuta sia al tentativo di imporre il rispetto dei confini territoriali sia a tentativi di contrastare l’egemonia del clan dominante della famiglia di Agrigento-Villaseta. Questo avrebbe potuto sfociare in una serie di atti violenti, con il rischio che si scatenasse una vera e propria guerra di mafia.
Le indagini, avviate nel dicembre 2021, si sono concentrate sulla riorganizzazione e sulle attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento/Villaseta, con Fabrizio Messina e Pietro Capraro come capi rispettivamente di queste due famiglie. Nonostante gli interventi delle forze dell’ordine nel corso degli anni, Cosa Nostra agrigentina risulta ancora pienamente operativa, dotata di ingenti disponibilità economiche e numerosi armamenti, operando in un contesto di instabilità degli equilibri mafiosi.
Un aspetto particolarmente preoccupante è l’uso di micro-telefonini da parte dei mafiosi detenuti per mantenere i contatti con i membri liberi, consentendo loro di impartire ordini dal carcere e di continuare a mantenere il controllo sulle attività criminali. Questo ha permesso ai clan di continuare a commettere estorsioni, incendi e danneggiamenti, con episodi significativi registrati nei quartieri di Fontanelle, Villaseta e Porto Empedocle.
Inoltre, i clan di Agrigento e Porto Empedocle avevano monopolizzato il traffico di stupefacenti nella provincia, alimentando un mercato fiorente, sempre più alimentato da giovanissimi. Le indagini hanno rivelato che i clan agrigentini ed empedoclini avevano stretto contatti con gruppi criminali in altri territori italiani e anche con organizzazioni estere (Belgio, Germania e Stati Uniti). Durante l’operazione, sono stati sequestrati oltre 100 kg di hashish, 6 kg di cocaina e, nel novembre scorso, 120.000 euro in contante, nascosti in cinque pacchi sottovuoto all’interno di un’auto.
La situazione descritta dalle indagini mostra la forza e la pericolosità di Cosa Nostra agrigentina, che continua a esercitare un controllo capillare sul territorio, con ramificazioni che vanno ben oltre la provincia e collegamenti con la criminalità internazionale.
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