Centinaia di soccorsi effettuati, di uomini, donne, bambini, naufraghi alla deriva.
Si è spento, a 66 anni, il comandante Michele Niosi, particolarmente conosciuto per aver vissuto per oltre dodici anni, in prima linea, con i suoi uomini, in quell’avamposto dell’Europa che è Lampedusa, trascorrendo la maggior parte del suo tempo a bordo delle motovedette impegnate nelle missioni di soccorso per recuperare naufraghi e qualche volta, purtroppo, anche cadaveri.
Michele Niosi, era entrato in Marina quando aveva 17 anni, prendendo servizio nelle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera. Aveva messo piede nell’isola di Lampedusa nell’estate del 1997 dopo aver partecipato a varie missioni di soccorso della Guardia Costiera nell’Adriatico e in Albania. Al capitano Niosi, Lampedusa sembrava una destinazione tranquilla. Invece iniziava proprio allora, un’emergenza che dura ancora oggi. Centinaia di soccorsi effettuati, di uomini, donne e bambini; naufraghi alla deriva che chiedevano aiuto perché non sapevano più dove si trovavano, mandati allo sbaraglio in un viaggio di trecento chilometri in mare aperto, a bordo di “carrette” con un numero di disperati che era il doppio di quello che avrebbe potuto trasportare. Poi iniziarono ad arrivare i primi barconi dalla Tunisia ma nessuno si aspettava un esodo biblico di quel tipo. Nel giro di pochi anni tutto divenne più difficile: nel ’98 sull’isola sbarcarono 3.500 persone. Sembrava un numero altissimo invece le cifre lievitarono a dismisura con arrivi quasi tutti i giorni e con punte annuali di ventimila sbarchi. Senza contare i morti delle tragedie del mare di cui ancora si sa poco o nulla. “Perché – sosteneva il capitano Niosi – saper nuotare conta poco: se la barca si rovescia, e il carico d’immigrati finisce in acqua, nuotare non serve a salvarsi!”.
Ligio alle leggi del mare che impongono di accogliere tutti, non solo per uno slancio di generosità verso chi ha bisogno di aiuto, ma perché è un atto obbligatorio, Niosi si considerava, prima un soccorritore, e poi un militare. E in cuor suo, era convinto che le frontiere non esistano più, quando migliaia di esseri umani premono ogni giorno alle porte e sono in grado di sfondare, con la forza della disperazione, qualsiasi tipo di barriera. Da bambino Niosi sognava di seguire le orme dello zio ufficiale della Marina ma mai avrebbe immaginato che il suo lavoro sarebbe stato più simile a un fronte di guerra. Un giorno sì e l’altro pure, gli toccava intervenire in alto mare a recuperare barche piene di spettri e a dover dividere i vivi dai morti.
Tanti immigrati ricordano ancora “il comandante buono” di Lampedusa e il rispetto verso di lui verso e l’istituzione che rappresentava, rasentavano la venerazione. Molte comunità africane in Italia avevano il suo numero di cellulare privato e ogni tanto chiamavano il capitano, per sapere l’esito di qualche traversata; per avere notizie di parenti o amici o per cercare di recuperare almeno i corpi di coloro che non gliel’avevano fatta.
La figura di questo “ufficiale gentiluomo” della Guardia Costiera che andava con i suoi uomini a salvare i naufraghi, tempo fa ispirò perfino un libro reportage dal titolo “Quando sei nato, non puoi più nasconderti” da cui è pure stato tratto un film di successo.
Da anni in pensione, per il capitano Niosi l’emergenza Lampedusa ormai era solo più un lontano ricordo ma a testimoniare l’impegno del passato lui conservava una foto: l’immagine di quella giovane profuga somala che aveva salvato dalle onde del mare e che con gli occhi sembrava ringraziare il comandante buono che le aveva salvato la vita.
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