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Home » Cultura » L’audience dei libri. Elucubrazioni di un medico artista

L’audience dei libri. Elucubrazioni di un medico artista

Redazione Di Salvatore Nocera
23 Luglio 2021
in Cultura
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L’audience dei libri, di Salvatore Nocera Bracco

Un paio di settimane fa la televisione di Stato ha trasmesso le serate finali di due premi letterari: il Premio Strega e il Premio Flaiano. La verve della conduttrice Geppi Cucciari ha portato la finale del premio Strega a un livello di simpatia inaspettato – mentre dall’altra parte, per onor di cronaca, hanno condotto Lucio Valentini e Martina Riva. Da sottolineare il fatto che, da due anni consecutivi, il Premio Strega è vinto da case editrici indipendenti: nel 2020 La Nave di Teseo, con Il colibrì, di Sandro Veronesi; quest’anno Neri Pozza editore, con Due vite, di Emanuele Trevi. Al Premio Flaiano, la casa editrice Guanda, per gli over 35, con Adesso che sei qui, di Mariapia Veladiano; per gli under 35 alla Italo Svevo edizioni, con Lingua Madre, di Maddalena Fingerle. E nella sezione cinema mi piace ricordare il  premio Flaiano alla carriera al nostro amico attore Vincent Riotta, siculo-londinese originario di Mussomeli. 

Mi colpisce il semplice fatto che la TV si occupi di cose letterarie, indipendentemente dal ritorno di audience, e in orari accessibili. Non credo che i premi letterari si siano adeguati alle esigenze di questa ormai efferata audience, come vorrebbe insinuare qualcuno, riferendosi al libro come a un qualunque altro prodotto commerciale. Io invece credo che qualunque sia il livello del libro, dell’autore che lo scrive e della platea di lettori che lo acquistano per leggerlo – a parte il fatto che le case editrici devono comunque sopravvivere, soprattutto le indipendenti – sia comunque un grande contributo alla formazione di un pensiero critico. Leggere fa comunque riflettere. E ci porta ad avere simpatie e antipatie, consensi  e  dissensi. E soprattutto stimola il Pensiero. E a parte il piacere della lettura, soprattutto quella più o meno divertente, di evasione, di passatempo, la maggior parte di questi lettori prima o poi avranno finalmente il coraggio di esprimere un’opinione formata, chiara, frutto di scelte ponderate e di un atteggiamento il più libero possibile da influenze mediatiche e ipnoticamente ottundive,  in questa nostra epoca in cui l’assenza di ideologie, più che rendere liberi – e la libertà diversifica – ha livellato verso una media inoffensiva le opinioni di tutti, rendendole sempre più uniformi e pertanto controllabili. Il tutto agevolato dalla richiesta di sicurezza sociale, chissà quanto genuinamente generata da un bisogno reale, quanto piuttosto da emergenze planetarie sempre più drammaticamente incombenti. A discapito ovviamente delle libertà. Ho l’impressione che la Cultura – cos’è la Cultura, se non un esercizio di libertà? – sia su due binari completamente opposti: quella che potremmo definire anarchica, controcorrente, che non produce alcun consenso, ma nemmeno dissenso, quella auto-referenziale – sempre che sia Cultura – di chi, pur avendo i mezzi per un pensiero autonomo e indipendente, rimane bloccato, ritirato dentro un privilegiato, per non dire schifato snobismo aristocratico, ma la cui assenza, e mancata presa di responsabilità, determina l’incredibile regressione dei più. È un’affermazione spocchiosa? Presuntuosa? Piena di sé? Mi riferisco ai giusti, intelligenti e giusti, quelli che Socrate – con tutto il rispetto: ma chi se lo fila, oggi, a Socrate?, a questo pervertitore delle condotte giovanili? – chiamerebbe Saggi, coloro i quali, cioè, hanno il coraggio di proporsi come riferimento per evitare di essere governati – o influenzati, il che è lo stesso  – da imbecilli senza scrupoli che fanno leggi per il “loro utile”. E contro l’opinione del sofista Trasimaco, così come Platone ci informa nella Repubblica, secondo cui “La legge è l’utile del più forte”. Il filosofo Maurizio A. Iacono ha scritto proprio con questo titolo un “utile” libro. A proposito. Per contro, c’è una Cultura altra, di noantri, che si riformula qualunquisticamente come “populista”, in cui chiunque, indipendentemente dal talento, dalla capacità, dalle competenze sviluppate con lo studio costante, si sente legittimato a dire la sua e a pretendere persino di diventare “pensiero dominante” attraverso l’uso calcolato e ossessivo dei social, sotto forma di video virali – ma a cui tutti indulgiamo, dai! – alla stessa stregua di venditori ambulanti che hanno la spocchia di vendere le loro “piccole” idee – ma è già tanto avercela, un’idea, di questi tempi, per quanto piccola – a chi invece di idee ha deciso di non averne affatto. Solo una chiosa, per finire: le idee piccole crescono se chi le produce non è affatto piccolo. 

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