Pene per oltre un secolo (134 anni in tutto) sono state chieste dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo al processo scaturito dal blitz antimafia “Icaro” che, nel dicembre del 2015, ha disarticolato le cosche nella loro, ennesima, fase di riorganizzazione successiva all’operazione Nuova Cupola.
Il Pubblico ministero della Dda, Claudio Camilleri, al termine della requisitoria, ha chiesto la condanna di dieci dei dodici imputati, ritenuti affiliati, con diversi ruoli e incarichi, delle famiglie mafiose di un ampio versante della provincia di Agrigento in una fase di riorganizzazione dopo le catture degli ultimi latitanti Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone. Per Ciro Tornatore, morto nei mesi scorsi a 82 anni, ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Cianciana, è stata chiesta una sentenza di non doversi procedere. Assoluzione, dall’accusa di associazione mafiosa per Pasquale Schembri, 54 anni, di Montallegro.
Ecco il dettaglio delle richieste di condanna: Antonino Abate, 32 anni, di Montevago, 20 anni di reclusione; Carmelo Bruno, 50 anni, di Motta Santa Anastasia, 4 anni; Vito Campisi, 48 anni, di Cattolica Eraclea, 8 anni; Roberto Carobene, 41 anni, di Motta Santa Anastasia, 4 anni; Antonino Grimaldi, 58 anni, di Cattolica Eraclea, 20 anni; Stefano Marrella, 62 anni, di Montallegro, 20 anni; Vincenzo Marrella, 44 anni, di Montallegro, 16 anni; Vincenzo Marrella, 63 anni, di Montallegro, 20 anni; Gaspare Nilo Secolonovo, 50 anni, di Santa Margherita Belice, 6 anni (richiesta di condanna solo per armi, chiesta l’assoluzione per associazione mafiosa) e Francesco Tortorici, 39 anni, di Montallegro, 16 anni.
Nelle fasi del processo ha deposto anche il collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati. “Non ho mai conosciuto i Marrella ma Giuseppe Fanara, mio padrino di battesimo e capo provincia di Cosa Nostra per un periodo, mi disse che facevano parte di Cosa Nostra – ha detto l’ex capo provinciale delle famiglie mafiose agrigentine, che dopo alcuni anni di “oblio”, inevitabili visto che le sue conoscenze si fermano a dodici anni fa, era tornato a deporre nel processo della maxi inchiesta Icaro. Di Gati, che era apparso di spalle, collegato da un sito riservato, con un giubbotto a coprirlo interamente anche in testa, apparso decisamente più magra rispetto alla sua ultima foto ufficiale, aveva aggiunto: “Un uomo della famiglia Marrella, insieme a un uomo d’onore di Burgio di cui non ricordo il nome, andò da Fanara per chiedergli di vendicare l’omicidio di un parente, mi sembra il figlio”. In realtà, come chiarisce dopo essere stato sollecitato dal pm Camilleri, si sarebbe trattato del fratello”. Di Gati aggiunge: “Me lo disse Fanara”. “Uno dei Marrella voleva uccidere un parente. So che erano tutti divisi perché uno aveva fatto ammazzare uno della famiglia. I nomi? Uno – risponde – si dovrebbe chiamare Vincenzo e l’altro Stefano. Vincenzo Marrella – aggiunge – voleva uccidere Luigi Gagliardo, nel 2001, perché secondo lui era stato arrestato per colpa sua. Gli avevano trovato delle armi in auto”. Adesso la parola passa alle difese per le arringhe e poi sarà letta la sentenza.
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