Si alza il sipario. Sul palcoscenico, a terra, un uovo; un nuovo e attuale Checkpoint Charlie che segna il confine umano e sentimentale del protagonista.
Uno spartiacque tra Momò e il mondo.
Alle spalle una scenografia essenziale, ma suggestiva, che disegna un palazzo con dei cubi arroccati gli uni sopra gli altri.
Una sorta Torre di Babele, simbolo dell’incomunicabilità degli esseri umani, in un’era dove pandemia, guerra, immigrazione e crisi climatica devono far riflettere sull’importanza del dialogo.
Accanto nella penombra si intravedono le sagome dei musicisti. Al centro lui, immenso Silvio Orlando/Momò, regista, attore e curatore dell’adattamento teatrale del romanzo di Romain Gary, La Vita davanti a sé, spettacolo andato in scena lo scorso fine settimana al Teatro Luigi Pirandello di Agrigento.
Una di quelle perle teatrali che, oltre a fare riflettere, fanno bene al cuore.
Ci vogliono gambe forti e una resistenza fuori dal comune, avrebbe detto Pier Paolo Pasolini, per portare avanti un monologo serrato di un’ora e mezza.
Silvio Orlando ci riesce concedendosi alcune piccole pause, per lasciare il palcoscenico all’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre
diretta da Simone Campa, con Simone Campa chitarra battente, percussioni, Maurizio Pala fisarmonica, Kaw Sissoko – Kora, Djembe, Marco Tardito clarinetto, sax e con Silvio Orlando al flauto traverso in un omaggio finale alla Sicilia.
La vita davanti a sé, è la storia di Mohamed detto Momò, bimbo arabo di dieci anni, alla fine scopriremo che in realtà ne ha 14, che vive a Parigi, nel quartiere multietnico di Belleville, nella pensione di Madame Rosa, un’anziana prostituta che sbarca il lunario prendendosi cura dei bimbi orfani.
L’attore campano è bravo nel condurre lo spettatore dentro le pagine del libro con leggerezza e simpatia, entrando ed uscendo dai panni di tutti i protagonisti.
É talmente abile e credibile che pian piano, con naturalezza, si trasforma nel bambino della storia e ne restituisce innocenza e fantasia.
La narrazione, serrata ma scorrevole, grazie ai diversi flashback riprende spesso le trame del discorso e ne restituisce, ancora più chiara, la matassa al pubblico attento e generoso.
La storia affronta temi complessi e attuali, come la convivenza tra culture e religioni.
Madame Rosa abita al settimo piano di un palazzo, circondata dai suoi bambini. Lei è un’ ebrea sopravvissuta ai campi di concentramento. Spesso si rifugia nel seminterrato per esorcizzare le sue paure e provare a convivere con i fantasmi dei ricordi che che la riportano a quel drammatico periodo.
La donna nutre profondo affetto per piccoli ospiti, ebrei e musulmani, e si carica le gioie ed i dolori di quell’infanzia ai margini.
Momò ne sottolinea la profonda umanità. Racconta, infatti, che Mandama Rosa preferiva stordirsi con i farmaci, per superare l’impegnativa vivacità dei bimbi, piuttosto che farli assumere ai bambini per calmarli, come invece faceva un’altra matrona del quartiere.
Momò cerca sua madre nei volti della gente: nella donna che invece di redarguirlo, per aver rubato un uovo, gli sorride e gli dà un bacio sulla fronte.
L’uovo, al centro della scena, diventa così un elemento di cui prendersi cura.
L’uovo, miracolo di perfezione e fragilità, porta lo spettatore a riflettere sui rapporti con l’altro: Madama Rosa si prende cura di Momò e il bambino, infine, si prenderà dei lei, cercando persino di preservarla dalla corruttibilità della morte.
Alla fine dello spettacolo, l’uovo si romperà. Sarà per Momò una potente deflagrazione, che, metaforicamente, rappresenterà la sua rinascita che porterà ad una verità fondamentale: “Bisogna voler bene”.
Il successo di critica e di pubblico de “La vita davanti a sé”, conferma la fortunata stagione del cartellone di prosa del Teatro Pirandello, firmato dal direttore artistico Francesco Bellomo, che proseguirà il prossimi 23 e 24 marzo con La Roba.
Foto di Massimo Palamenghi per Fondazione Teatro Luigi Pirandello