Feste religiose da evangelizzare anche in Sicilia, magari partendo da Agrigento e da Racalmuto. Su questo tema, Angelo Ficarra e Leonardo Sciascia in consonanza spirituale.E la rima cosa che ci sentiamo di dire è che l’Arcivescovo Angelo Ficarra e lo scrittore Leonardo Sciascia sulle feste religiose in Sicilia, sono davvero in consonanza culturale e spirituale.Una consonanza che determinò in Leonardo Sciascia un sentimento di profondo rispetto e forse quasi una qualche affinità spirituale, con il vescovo canicattinese Mons. Angelo Ficarra (1885-1959), già vescovo di Patti e promosso nella logica vaticana del tempo “promoveatur ut amoveatur” (sia promosso, perché sia rimosso) ad arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica, un’antica diocesi egiziana, vicino al Cairo, “in partibus infidelium”. Come noto, da Leonardo Sciascia le ragioni dell’allontanamento dalla diocesi di Patti, sono state oggetto del suo saggio, – come lui dice – scritto tutto di seguito – nell’agosto 1957, subito dopo appresa la notizia dell’esautoramento del vescovo Ficarra, che sarebbe poi morto due anni dopo, il 1º giugno 1959.Il saggio di Sciascia, diventato ormai uno dei suoi scritti più famosi, porta il titolo “Dalle parti degli infedeli”.In questo saggio – (oltre a tutto il resto di notevole interesse) – si dice che la Sacra Congregazione Concistoriale del Vaticano, allora presieduta dal cardinale Piazza, aveva chiesto invano le dimissioni di mons. Ficarra, ufficialmente a causa di un testo nel quale il vescovo sottolineava gli aspetti paganeggianti della religiosità dei siciliani, attaccati agli aspetti rituali del culto. Aggiungiamo adesso che questo saggio del Ficarra col titolo “Meditazioni vagabonde”, sarebbe stato pubblicato postumo nel 1990 con il titolo di “Le devozioni materiali: Psicologia popolare e vita religiosa in Italia”, Palermo, Edizioni La Zisa. Ricordiamo ancora che “Meditazioni vagabonde” fu il titolo dato dal Ficarra a quaranta articoli pubblicati (dal n. 144 del 7 febbraio 1909 al n. 202 del 30 giugno 1914) sul “Lavoratore”, un quindicinale fondato da don Nicolò Licata, arciprete di Ribera e protagonista con Luigi Sturzo e Michele Sclafani del movimento politico-sociale cattolico siciliano, precursore del Partito Popolare Italiano.
Nei quaranta articoli il Ficarra, giovane prete, allora vicario cooperatore dell’arciprete Licata, condannava con forza le modalità paganeggianti di molte feste siciliane, vere e proprie continuazioni delle antiche feste dionisiache rurali; il feticismo praticato verso talune immagini di santi; lo spagnolismo di tante cerimonie e tradizioni e l’uso di musiche, “marce ed ariette più o meno lascive ed invereconde”; come pure lo strapotere di alcune Confraternite laicali, alcune “vero flagello di certi paesi e di certe chiese”, interessate soltanto a conservare privilegi, prebende, e comunque sempre con un buon ritorno economico. Il giovane prete Ficarra parlava allora di “materialismo religioso” e di “materializzazione dell’idea religiosa”; e sosteneva la tesi di un popolo siciliano tutt’altro che cristiano: “Quante scorie e quante miserie in questa povera anima siciliana, nei cui strati più profondi freme e si agita tuttora il greco idolatra e il romano superstizioso, il musulmano sensuale e lo spagnolo sfarzoso” (Il Lavoratore, Anno VIII, Ribera, 22 ottobre 1909). “La vita religiosa del nostro popolo” aggiungeva “è ammalata, profondamente inquinata” (Il Lavoratore, Anno VIII, Sciacca, 2 maggio 1909)
Questa visione ed interpretazione della religiosità da giovane presbitero, messa poi in atto in anni successivi nei posti i responsabilità a cui fu chiamato, determinò in Leonardo Sciascia un sentimento di profondo rispetto, umano e spirituale, verso il prete-vescovo Ficarra, sentito proprio vicino alla sua sensibilità di uomo e di credente
Per quanto riguarda le feste religiose, che mi pare adesso tornate alla ribalta, dopo questi due anni di pandemia, a me pare che ci sia comunque da riprendere un serio impegno di evangelizzazione. Partendo anzitutto alla Parola di Dio; anche dalla violenta requisitoria del profeta Amos contro il culto formalistico che impregna, non infrequentemente, talune feste religiose in Sicilia. Scrive il profeta “Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni”. E il profeta – lo dice espressamente – riferisce le parole di Dio.
Pure in passato, un buon decennio fa, a me e non solo è venuto subito di pensare a questo passo biblico, leggendo la cronaca di quanto avvenuto per esempio, qualche decennio fa, durante la processione in onore di S. Calogero, a proposito di quel gruppo di giovani portatori, che si sono resi protagonisti di una violenta scazzottatura, preceduta e seguita da parole irriferibili e minacce varie. E che ancora, oltre ai cazzotti, spintoni ed urla, altri comportamenti incivili compiuti nel tafferuglio, con diversi reati, come la sottrazione di alcuni portafogli, con diverse denunce. Tutto questo mentre si faceva a gara, per avere la possibilità di toccare la statua del Santo. Una consuetudine che quest’anno, grazie alle disposizioni illuminate e ad una nuova maturità raggiunta, non si è verificato e nessuno ha tentato di andare a toccare la statua di S. Calogero, mettendo così in soffitta una tradizione secolare. Altri anni prima, le cronache nazionali si erano ampiamente interessate di quello che è successo a Racalmuto, in occasione della festa della Madonna del Monte, dove al folklore per la conquista del cosiddetto “cero” si è aggiunta un’animosità davvero eccessiva, sfociata nella violenza. Mi pare sia avvenuto nel luglio del 2001, quando la conquista del “cero” da parte delle due opposte fazioni, ha dato origine ad una rissa gigante davanti a tutti, e che solo per un vero miracolo non ci sono state conseguenze irrimediabili. Dopo le immagini impietosamente offerte da vari telegiornali locali e nazionali, della rissa con calci, pugni e morsi , con la conclusione del giovane che, portato in braccio dai propri sostenitori, si reca in Chiesa Madre di Racalmuto per deporre ai piedi della Madonna quel simbolo, quasi tutti i quotidiani del giorno seguente titolavano : “ A Racalmuto preghiere e pugni”. Mi pare che anche in questo caso, magari precauzionalmente, dato che dopo due anni di pandemia si ripropone, “orgogliosamente”, “in forma magna” tutta la tradizione della festività della Madonna del Monte, sia doveroso fare i conti con la realtà raffrontandola con la Parola di Dio, e segnatamente con quanto dice il profeta Amos. Sciascia che amava e gustava, come tutti questi momenti di gioia paesana, è lo stesso che condivideva i pensieri del Ficarra e che ha scritto, con una certa amarezza, che in Sicilia abbonda la religiosità, mentre scarseggia la fede.
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