In allegato il testo della lettera pastorale dell’arcivescovo di Agrigento, card. Francesco Montenegro che accompagna il Piano Pastorale diocesano 2017-18.
Lettera Pastorale
CON UNO SGUARDO NUOVO
Anche quest’anno, come di consueto, accompagno la consegna del Piano Pastorale Diocesano con la condivisione dei sentimenti del mio cuore di pastore – ma anche di fratello, amico e compagno di viaggio – verso questa amata Chiesa di Agrigento e verso ciascuno di voi, cari presbiteri, diaconi e religiosi, fratelli e sorelle nel Signore!
Mentre vi scrivo ho davanti agli occhi i tanti volti e le tante storie che in questi anni della mia permanenza tra voi mi sono diventati familiari e che fanno ormai parte della mia vita. Il mio pensiero va anche ai tanti volti e alle tante storie che ho soltanto intravisto e appena conosciuto e a quelli che non ho ancora avuto modo di incontrare o che, per la fatica del confronto o le diversità di vedute, si sentono lontani.
A tutti, uno per uno, vorrei che giungesse il mio abbraccio, insieme all’invito a rilanciare la sfida della comunione e della missione per la crescita del Regno di Dio: qui, ora e insieme!
Un grido di dolore e di speranza
Continua a risuonare in me il grido di dolore per la Cattedrale ferita e dimenticata, per il colle di Agrigento instabile e tradito e per il centro storico sempre più desolato e cadente, che preoccupano anche per l’incolumità delle persone e la tutela delle costruzioni dell’area circostante. Chiusa e pericolante ormai da sei lunghissimi anni, la nostra Chiesa Madre sta là, sul suo colle, a ricordarci le drammatiche conseguenze delle inadempienze istituzionali e del disinteresse collettivo. Rifiuto però di pensare che le piaghe e lo stato di abbandono della Cattedrale e del suo colle debbano diventare simbolo della nostra terra e – perché no? – della nostra Chiesa. Semmai sogno testardamente una “risurrezione” che diventi segno di una ripresa generale.
Mi sto riferendo alle tante risorse della terra agrigentina che continuano a essere mortificate e paralizzate da molteplici fattori interni ed esterni che, radicati nel passato, rendono sempre più incerto non solo il presente ma anche il nostro futuro. Penso alle tante infrastrutture che nella terra agrigentina versano in uno stato di preoccupante abbandono e ai tanti servizi che nei nostri paesi presentano carenze inaccettabili. Penso alle gravi problematiche che costringono tante imprese e attività locali a chiudere o a ridurre la loro capacità di iniziativa e di investimento, sia per la mancanza di adeguate politiche di rilancio e di sostegno sia per la diffusione latente di una mentalità rassegnata al clientelismo e all’illegalità. Penso soprattutto alla dignità offesa di un numero crescente di giovani e famiglie, anziani e immigrati, malati e disabili, che versano in condizioni sempre più difficili e spesso insostenibili.
E nello stesso tempo non posso non pensare alle nostre comunità ecclesiali, chiamate ogni giorno a misurarsi con una realtà sempre più complessa, problematica e frammentata, costrette ad affrontare sempre maggiori responsabilità e maggiore impegno, che a volte va al di là delle loro possibilità e delle loro forze. Comunità che sono chiamate a ripensare il proprio volto e il proprio ruolo in un contesto sociale che ci sta chiedendo altro, non perché quello che abbiamo fatto finora non vada più bene, ma perché, vista la situazione, non è più sufficiente e rivendica un “di più” a cui dobbiamo prepararci e a cui dobbiamo saper rispondere con determinazione e coraggio.
Se ripeto ancora una volta queste cose è perché sono fermamente convinto che la forza rinnovatrice del Vangelo, che passa attraverso la vita e l’azione della Chiesa, ci chiede una forte presa di coscienza delle sfide da assumere. Solo radicando l’annuncio del Vangelo nella realtà e nelle dinamiche del territorio, infatti, potremo dare concretezza alla fede, prospettive alla speranza e consistenza alla carità.
Recita il Salmo 11: «Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?». La risposta, secondo me, è di non rassegnarsi dinanzi all’ingiustizia umana e alla grave situazione sociale, ma di alzare il grido di speranza, confidando sempre nell’infinito amore di Dio e nelle immense possibilità presenti nel cuore di ogni uomo. Solo se ci lasciamo raggiungere e penetrare dallo sguardo misericordioso di Dio e se guardiamo con uno sguardo come il suo le realtà umane, anche le più contraddittorie e sbagliate, saremo riconquistati dalla fiducia che «gli uomini retti contempleranno il suo volto».