Sulla morte del Capo dei capi… fanno riflettere
alcuni pareri fuori dal coro.
di Diego Acquisto
E non voglio riferirmi a quello che gente fuor di testa scrive in alcuni deliranti messaggi, che, incredibilmente, si leggono sui social network, come il vergognoso saluto: “Riposa in pace grande uomo”…“Zio Totò sempre nel mio cuore, grande uomo d’onore, tanta ammirazione”, oppure forse anche con un pizzico di pungente ammonimento”. “è morto Totò Riina, ma la cultura mafiosa degli italiani gode di piena salute”.
Tralasciando questi messaggi, sicuramente di una minoranza ignobile, tanti ne trovo sul web che sottolineano l’incapacità o l’impossibilità del perdono; ne trovo solo due che, in qualche modo parlano di umana pietà ed adombrano anche un richiamo alla nobiltà del perdono.
Il riferimento da parte di tutti è chiaramente sempre a Totò Riina, la cui morte all’età di 87 anni, è avvenuta ieri carcere in regime del 41 bis, dovendo scontare 26 ergastoli.
Due giudizi fuori dal coro che a mio giudizio meritano attenzione e riflessione.
La prima voce discordante è quella di Claudio Fava, personaggio abbastanza noto, orfano di padre, assassinato proprio dalla mafia, che alcune ore prima della morte, mentre Riina era in coma farmacologico, ha dichiarato “ . “Spero che non lo lascino morire in carcere da detenuto. La differenza tra loro e noi è che a noi non serve alcuna vendetta. E che la dignità della morte va riconosciuta anche a chi l’ha negata alle proprie vittime”.
L’altra voce è quella di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili a Firenze, che ha detto “Iddio abbia pietà di lui, noi non abbiamo potuto perdonarlo e ci spiace muoia ora che forse si potrebbe arrivare a capire chi gli ha armato la mano per ammazzare i nostri figli, malgrado lui, il capo della mafia, non si sia mai pentito”.
Nella stessa nota, Giovanna Maggiani Chelli ha riferito di aver “parlato con i parenti delle vittime”, dai quali al riguardo ha ricevuto “una risposta di totale silenzio”, sottolineando però i familiari di “aver patito troppo per un uomo che tale non è mai stato”.
E l’ultima espressione, particolarmente dura, ci sembra davvero umanamente giustificata per l’incredibile molteplicità di misfatti, stragi, delitti di cui Riina si è reso colpevole, senza mostrare sino all’ultimo nessuno segno di ravvedimento e pentimento.
Così come è apparso chiaro per l’olocausto consumato per motivi razziali dalla follia nazista, anche con Riina l’uomo in ferocia ha superato se stesso, annullando del tutto la sua umanità, commettendo atti che le bestie, che sono prive di razionalità, non commettono. Ma l’umana pietà che è in tutti noi non può e non deve essere annullata nemmeno da questi comportamenti abominevoli.
Ed ecco che deve fare riflettere l’osservazione, a mio giudizio, davvero acuta di Fava, tesa anzitutto a non infangare il cuore con sentimenti di vendetta : “La differenza tra loro e noi è che a noi non serve alcuna vendetta. E che la dignità della morte va riconosciuta anche a chi l’ha negata alle proprie vittime”.
Lo spirito di vendetta non solo non serve, ma tenuto ed accarezzato nel cuore, sporca ed infanga.
L’umana pietà deve prevalere di fronte alla “maestà” della morte. Ne ha accennato anche l’Arcivescovo di Monreale Mons. Michele Pennisi, che, seppure sommessamente, esprimendo il cordoglio verso i familiari, ha subito precisato che “trattandosi di un pubblico peccatore non si potranno fare funerali pubblici; solo la possibilità di fare una preghiera privata al cimitero, se i familiari lo chiedessero”.
Aggiungendo poi che “Con la morte di Totò Riina è finito il delirio di onnipotenza del capo dei capi di cosa nostra, ma la mafia non è stata sconfitta e quindi non bisogna abbassare la guardia. Il compito della Chiesa è quello di educare le coscienze alla giustizia e alla legalità e di contrastare la mentalità mafiosa”.
Diego Acquisto