AGRIGENTO. “A Camastra si muove foglia se vuole Rosario Meli, altrimenti non si muove. Funziona così”. Il collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta, incalzato da domande e puntualizzazioni, ribadisce il potere mafioso di «Saru u puparu». «Perché lo chiamavano così? Perché era bravo a portare le persone dove diceva lui, è passato da Cosa nostra alla Stiddra e continua a comandare».
Il pentito è tornato a deporre, in video collegamento da un sito riservato, al tribunale di Agrigento dove aveva fatto il suo debutto al processo «Icaro». Ieri pomeriggio, invece, davanti al collegio di giudici presieduto da Luisa Turco, con a latere Enzo Ricotta e Rosanna Croce, è stato ascoltato al processo scaturito dall’inchiesta «Vultur» che avrebbe sgominato la nuova famiglia mafiosa di Camastra e fatto emergere il rinnovato potere mafioso del vecchio boss di Canicattì, Lillo Di Caro.
Nella lista degli imputati, oltre allo stesso Di Caro, ci sono Rosario Meli, 70 anni, il figlio Vincenzo, 46 anni e Calogero Piombo, 65 anni, di Camastra.
«Buonasera a tutti – esordisce Quaranta -. Ho deciso di pentirmi il 29 gennaio, dopo l’arresto. Dovevo fare un futuro diverso alla mia famiglia». L’ex capomafia di Favara e braccio destro dell’aspirante capoprovincia Francesco Fragapane appare di spalle, inquadratura stretta sulla testa dove tiene un paio di occhiali. «Ho iniziato la mia esperienza in Cosa nostra nel 2002, grazie a Pasquale Alaimo. Lo conoscevo da tempo e lavoravamo insieme per delle ditte di rifiuti. Sapevo che faceva parte di Cosa nostra perché era tornato da poco libero dopo l’operazione Fratellanza».