PALERMO. Alla vigilia dell’anniversario della strage di via D’Amelio al via le audizioni in Commissione antimafia all’Ars per ricostruire la verità sul depistaggio. Si comincia oggi con Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso 26 anni fa insieme a cinque agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina..
Nei prossimi giorni potrebbero essere sentiti anche gli altri due figli, Manfredi e Lucia Borsellino. Inoltre, verranno ascoltati anche i magistrati che negli anni si sono occupati del processo sulla strage. Allora in servizio all’ufficio inquirente c’erano Anna Palma, Nino Di Matteo e Carmelo Petralia. Il capo dei pm Giovanni Tinebra è morto.
“La famiglia Borsellino – ha spiegato nei giorni scorsi il presidente della commissione Claudio Fava – ha domande da fare e chiede risposte. E non c’è luogo più legittimato della commissione regionale antimafia per raccogliere le preoccupazioni e le pretese di verità dei familiari del giudice. Noi intendiamo farci carico di queste domande e vedere quale possa essere il ruolo della commissione su una vicenda che interroga la coscienza del Paese”.
Lo scorso primo luglio, nelle motivazioni della sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta sul processo Borsellino Quater, i giudici hanno parlato “di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Nelle oltre 1.800 pagine viene ripercorsa una delle più contorte vicende della storia contemporanea che, secondo i giudici, nasconderebbe un “disegno criminoso” realizzato in una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere che non sopportavano il lavoro di Paolo Borsellino. Più volte negli anni Fiammetta Borsellino ha denunciato “anomalie che hanno caratterizzato la condotta di politici e magistrati dei processi Borsellino I e II”. I figli del giudice hanno anche inviato una lettera al Csm chiedendo di intervenire. Il Comitato di presidenza del Csm ha disposto l’apertura di una pratica in prima commissione con il compito di svolgere gli “accertamenti necessari” per valutare l’avvio di procedure di trasferimento d’ufficio per incompatibilità, alla luce di quanto emerso dalle motivazioni della sentenza.
Fiammetta Borsellino pone 13 domande sul depistaggio: “Perchè le autorità locali e nazionali preposte alla sicurezza non misero in atto tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra?
Perchè per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze in ambito di mafia? L’ufficio era composto dal procuratore capo Giovanni Tinebra, dai sostituti Carmelo Petralia, Annamaria Palma (dal luglio 1994) e Nino Di Matteo (dal novembre ’94). Perchè via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre?
E perchè l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti? Perchè i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul “tritolo arrivato in citta’” e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?
Perchè nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire?
Cosa c’è ancora negli archivi del vecchio Sisde, il servizio segreto, sul falso pentito Scarantino (indicato dall’intelligence come vicino ad esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?”.