Antonello Montante è stato arrestato a Milano. L’ex numero uno di Confindustria Sicilia sapeva. Era a conoscenza da oltre tre anni – e dunque ben prima che venisse raggiunto da un avviso di garanzia e che gli investigatori perquisissero la sua casa, scoprendo anche la stanza segreta dove conservava il libro mastro delle raccomandazioni – dell’andamento dell’indagine che la Procura di Caltanissetta stava conducendo a suo carico. E lo sapeva grazie ai suoi influenti contatti, partiti dalla Sicilia e arrivati molto in alto, fino ai vertici del servizio segreto civile.
Della rete di informatori avrebbe fatto parte anche Renato Schifani, ex presidente del Senato. È a lui, infatti, che l’ex direttore dell’Aisi, il generale Arturo Esposito, avrebbe rivelato l’esistenza dell’indagine. Montante avrebbe così preso per mesi le cautele necessarie a rallentare gli accertamenti degli inquirenti. Ma non abbastanza da far arenare l’indagine che ieri ha definitivamente sollevato il velo del grande inganno della parte maggioritaria di Confindustria siciliana. Considerato per anni il simbolo della riscossa degli imprenditori siciliani contro Cosa nostra, l’ex presidente di Confindustria Sicilia è finito agli arresti domiciliari.
“Può senz’altro dirsi – scrive il giudice – come ci si sia trovati innanzi ad una tentacolare rete di rapporti che dimostra la pervasività del contesto investigativo e sta a testimoniare il sistema di protezione che si è alzato attorno agli odierni indagati da parte di soggetti inseriti ai più alti livelli della Polizia, dei Servizi di informazione e sicurezza e dell’ambiente politico italiano”. Per l’ex presidente di Sicindustria la procura di Caltanissetta aveva chiesto custodia cautelare in carcere. Ma il gip ha negato la richiesta, scegliendo i domiciliari perché, a suo avviso, l’attuale presidente della Camera di commercio di Caltanissetta ha sì “intrattenuto qualificati rapporti con esponenti di spicco di Cosa nostra”, ma non ci sono elementi a sufficienza per configurare il reato di mafia. A Montante, dunque, è contestata l’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di esponenti delle forze dell’ordine.
L’indagine su Montante si è inizialmente mossa sul reato di concorso in associazione mafiosa. Poi però la procura non ha raggiunto elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio. Della rete di Montante facevano parte – secondo l’accusa – anche esponenti delle forze dell’ordine. Sono finiti ai domiciliari, infatti, anche il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, ex capocentro della Dia di Palermo tornato all’Arma dopo un periodo nei servizi segreti, Diego Di Simone, ex sostituto commissario della squadra mobile di Palermo, Marco De Angelis, sostituto commissario prima alla questura di Palermo poi alla prefettura di Milano, Ettore Orfanello, ex comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza a Palermo. Agli arresti anche il re dei supermercati Massimo Romano – già nel team legalità di Sicindustria – che gestisce la catena “Mizzica” – Carrefour Sicilia, con oltre 80 punti vendita nella regione. Il sesto provvedimento cautelare riguarda Giuseppe Graceffa, vice sovrintendente della polizia in servizio a Palermo, sospeso dal servizio per un anno. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione per delinquere finalizzata a commettere delitti contro la pubblica amministrazione, accesso abusivo a sistema informatico e corruzione. Nell’inchiesta ci sono poi 15 indagati eccellenti non raggiunti da alcun provvedimento: si tratta di politici, generali, dirigenti di Polizia ma anche docenti universitari. Come Schifani, accusato di aver rivelato notizie coperte da segreto, apprese dall’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito che a sua volta le aveva avute da altri appartenenti alle forze di polizia. In particolare, avrebbe riferito al docente universitario Angelo Cuva (indagato) che il colonnello Giuseppe D’Agata era coinvolto nel procedimento. Dalle intercettazioni – scrive il gip – sarebbe dunque emersa una rete in cui vi era uno “stabile canale di comunicazione” tra un appartenente alla Polizia e uno 007 “al fine di travasare notizie riservate sull’indagine in corso presso questa procura”. Informazioni che “su input del generale Esposito” dovevano essere “veicolate al Montante e, successivamente, anche a Giuseppe D’Agata al fine di consentire loro di prendere le dovute contromisure”. A tal fine, si legge ancora nell’ordinanza, “si accertava che il D’Agata fosse in contatto con un professionista palermitano cui è legato da saldi rapporti d’amicizia, Angelo Cuva, e che quest’ultimo rappresentasse il trait d’union tra lo stesso D’Agata e il senatore Schifani, il quale, a sua volta, si relazionava ai fini descritti con il generale Esposito”.
A raccontare i dettagli dell’inchiesta in conferenza stampa è stato il numero uno degli inquirenti nisseni, Amedeo Bertone. L’indagine della squadra mobile di Caltanissetta, coordinata dal vice questore Marzia Giustolisi, ha avuto impulso nel gennaio 2016 quando, durante una perquisizione a Serradifalco(Caltanissetta) nella villa di Montante, all’epoca ancora indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, gli agenti hanno rinvenuto in una stanza nascosta da una libreria, un archivio con veri e propri dossier che riguardavano soprattutto magistrati e giornalisti. Sono decine i profili contenuti nell’archivio di Montante: da Cicero, che era alla guida dell’Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive, a Davide Durante, ex presidente di Confidustria Trapani, da Gioacchino Genchi ex poliziotto e legale di Pietro Di Vincenzo, imprenditore condannato per estorsione e cessione fittizia di beni, dall’ex senatore Pd Vladimiro Crisafulli, all’attuale assessore regionale all’Economia Gaetano Armao. L’elenco è lunghissimo: ci sono i collaboratori di giustizia, l’ex presidente del consorzio Asi di Caltanissetta Umberto Cortese, l’ex direttore di Confindustria nissena Tullio Giarratano, l’ex assessore regionale Nicolò Marino e i suoi figli, i giornalisti Giampiero Casagni e Attilio Bolzoni. Secondo il gip Montante “voleva acquisire informazioni su persone che hanno rivestito un ruolo politico di ambito regionale e che erano entrate in rotta di collisione con lui e col sistema confindustriale che rappresenta in relazione alle più svariate vicende”.