Dalla crisi alla nomina a Cardinale, nel 2015 mons. Montenegro è stato nominato dal Papa ai vertici della Chiesa del terzo millennio
DOMENICO VECCHIO
Un’azione pastorale basata sul rinnovamento, immigrazione, accoglienza, famiglie. Innovazione guardando al passato ma senza da questo lasciarsi condizionare, le omelie forti e dirette, ad Agrigento e in periferia, pronunciate nel Solenne pontificale dell’Immacolata, ma soprattutto la sera del Venerdì Santo, quando senza se e senza ma, ha denunciato il business collegato all’accoglienza dei migranti. Ha lavorato e lavora ad Agrigento, Lampedusa, in tutta l’Arcidiocesi e adesso anche in Europa. Il secondo anno di Don Franco da Cardinale è stato tutto questo e altro ancora. Ventiquattro mesi caratterizzati, come i primi, da un’energia straordinaria, da uno zelo apostolico a 360 gradi e dalla consapevolezza che la Chiesa, come una fiaccola che illumina il cammino, non può non essere presente nella vita concreta delle persone, nel prossimo, in chi soffre. Era il 14 febbraio del 2015, quando a San Pietro, con al seguito centinaia di pellegrini di questa terra, Papa Francesco imponeva sul capo di Don Franco la Berretta Cardinalizia. La periferia al centro del Mondo. Gioia per la sua nomina, ma anche tanta commozione. Con quest’animo i pellegrini lo accompagnavano a Roma, nel timore di perderlo perché Agrigento non era sede cardinalizia. Ed invece Montenegro è rimasto qui, i suoi impegni si sono triplicati, quadruplicati ed anche di più, ma non ha mai trascurato l’Arcidiocesi. Ha continuato la sua missione come sempre.
Il magistero e gli incontri con i “potenti”, l’attenzione sulla Cattedrale, simbolo non solo della Chiesa agrigentina, ma di un centro storico abbandonato. L’ascolto, la preghiera, i toni forti ma anche la voglia di smorzare gli animi.
Le visite alle parrocchie cittadine, il lavoro di riforma degli uffici della Curia e il contatto diretto con la gente (telefonate, messaggi su whatsapp, scambi di battute, sms, email). E l’occhio vigile del pastore che non smette mai di difendere e proteggere il suo gregge, specie quando è vittima del torpore che caratterizza questa terra. Le udienze, le partecipatissime celebrazioni, come quando tutta la Diocesi si spostò in massa per la presentazione del Piano Pastorale, avvenuto nella basilica della Madonna delle Lacrime di Siracusa. O ancora il pienone per altri eventi al PalaMoncada. L’apertura di musei e percorsi sacri per i turisti, il dialogo continuo con le amministrazioni comunali e le istituzioni. Si pensava di perderlo, ma il Papa, come detto, privilegia persone e periferia ed il Cardinale Montenegro, si è dovuto barcamenare, con grande destrezza, tra compiti nazionali, e presenza costante nella sua terra.
Proprio lui, che aveva scritto al Papa, in preda ad una crisi, allo sconforto, al timore di non farcela. “Trovarsi davanti a 366 bare ti fa sentire schiacciato e impaurito – aveva scritto al Pontefice subito dopo la tragedia di Lampedusa -. Stare sul molo e vedere quei volti mi ha provocato una crisi di fede; non solo ho sentito Dio lontano ma non l’ho proprio sentito. Poi ho visto un poliziotto piangere come un bambino”. Quella sera stessa scrisse a Bergoglio, sottolineando le difficoltà, come vescovo, che avrebbe dovuto aiutare gli altri e che invece si era ritrovato con il cuore spento. Uno stato d’animo compreso in pieno da Papa Francesco, che poco tempo dopo decideva di caricarlo di una ancora più grande responsabilità. Così Montenegro, è diventato per tutti, il Cardinale dell’accoglienza, che ha sempre predicato di guardare il prossimo negli occhi “riconoscendogli la dignità di uomo”.
Celebri le sue apparizioni a “Porta a Porta”. Indimenticabili i confronti televisivi con Salvini, ammutolito con una flemma disarmante. Il suo secondo compleanno da Cardinale, è un giorno come un altro. I giri in vespa, le camminate a piedi, le visite improvvise ci sono sempre. La vita di un Cardinale, di un Arcivescovo, ma anche di una persona comune, con i suoi bisogni, le sue questioni personali da sbrigare. La solita croce di legno al collo, il suo pastorale non è ricoperto d’oro. Non è cambiato nulla, il 15 febbraio del 2015 fece ritorno ad Agrigento, da Roma su un bus di pellegrini. Seduto all’ultimo posto come uno scolaro. La celebrazione a Pompei per ringraziare. Poi i viaggi in aereo come fanno tutti. Tutto questo mentre nel sito ufficiale della Diocesi è già pubblico il “Documento-base per il ripensamento della presenza e dell’azione delle parrocchie nel territorio dell’Arcidiocesi agrigentina”.
Tratto dal GDS (DV)
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.10206171381343319.1073741847.1227500064&type=3