CAMPOBELLO DI LICATA. I detenuti in regime di 41 bis (il cosiddetto ‘carcere duro’ per i mafiosi) non devono scrivere lettere a ‘Nessuno tocchi Caino’, associazione radicale che si batte per l’abolizione della pena di morte nel mondo. La circostanza è stata ribadita in un procedimento giudiziario, gestito dai tribunali del Piemonte, che riguarda Giuseppe Falsone, 48 anni, originario di Campobello di Licata, considerato dagli inquirenti uno dei capi di Cosa nostra nella provincia di Agrigento, arrestato a Marsiglia nel 2010.
Falsone, rinchiuso a Novara, aveva chiesto a una congiunta di inviare 200 euro al proprio legale per l’iscrizione al Partito Radicale; “in realtà – si legge nelle carte del procedimento – era quasi certo che la somma fosse indirizzata a sostenere l’associazione ‘Nessuno tocchi Caino’, cosa che però è vietata da una circolare del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap)”. Il magistrato di sorveglianza della città piemontese aveva autorizzato il trattenimento della missiva con una decisione confermata dal tribunale di Torino nel 2017 e resa definitiva nei giorni scorsi dalla Cassazione. La Cassazione ha fatto notare, nei giorni scorsi, che “la circolare del Dap aveva vietato rapporti epistolari fra detenuti sottoposti al 41 bis e un’associazione, al fine di evitare l’insorgere di proteste da parte della popolazione detenuta”. A questa disposizione i supremi giudici non hanno mosso rilievi perché è “dettata da ragioni di sicurezza e di ordine nelle carceri in aderenza a quanto permesso dall’ordinamento penitenziario”.
Intanto si è svolta oggi, davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Agrigento Alfonso Malato, l’udienza di convalida per l’arresto di Giuseppe Puleri, 39 anni, di Campobello di Licata, cugino del boss Giuseppe Falsone. L’uomo deteneva illecitamente un revolver di fabbricazione americana, calibro 357 magnum, con matricola abrasa, carica di 6 cartucce calibro 38 special” ed è difeso dall’avvocato Angela Porcello. L’accusa è rappresentata dal pubblico ministero Emiliana Busto che si sta occupando del fascicolo d’indagine. I militari dell’Arma di Campobello di Licata, coordinati dal comando compagnia di Licata, hanno effettuato una perquisizione – sembrerebbe essere stata mirata – nell’abitazione del trentanovenne: in contrada Fondachello a Campobello. Ed è proprio durante questa perquisizione domiciliare che i militari dell’Arma hanno ritrovato, e subito posto sotto sequestro, la pistola calibro 357 magnum e il caricatore. Per il trentanovenne Giuseppe Puleri è scattato, in flagranza di reato, l’arresto ed è stato – dopo le formalità di rito – portato, in attesa dell’udienza di convalida, alla casa circondariale di contrada Petrusa ad Agrigento. La pistola verrà – come sempre avviene in caso di sequestro di armi – sottoposta a mirati esami scientifici per stabilire se e quando sia stata utilizzata. “Dettagli” che non sono indifferenti e che servono anche per tracciare – eventualmente – la provenienza della pistola. Una calibro 357 magnum che avrebbe la matricola punzonata con martellamento: una procedura per rendere l’arma non tracciabile.