Dopo i vergognosi atti di oltraggio consumati a Palermo nei giorni scorsi contro la memoria del giudice Giovanni Falcone, mentre erano in corso i preparativi per onorare la memoria del giudice Paolo Borsellino, assassinato con la sua scorta 25 anni fa come oggi il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, ecco la notizia che di prima mattina ha scosso soprattutto gli agrigentini provocando ovunque sdegno ed indignazione.
È stata oltraggiata anche la memoria del giovane giudice canicattinese Rosario Livatino, con danneggiamenti alla stele a lui dedicata nel luogo del suo barbaro assassinio, lungo la statale640 nei pressi di Agrigento, in contrada Petrusa, sul viadotto Gasena.
Una stele che gli anziani genitori del giudice, ora scomparsi, avevano voluto far erigere a loro spese nel ricordo del loro unico figlio trentottenne, assassinato perché non si era piegato alle richieste della criminalità organizzata.
A segnalare l’accaduto sul danneggiamento delle stele, ieri, vigilia del 25° della strage di via D’Amelio, un operaio che per motivi di lavoro si era recato nella zona.
Lo sdegno e la rabbia per quanto accaduto, oltre a far crescere la voglia di resistere civilmente ed energicamente alle intimidazioni criminali, invitano a porsi ed a porre alcuni interrogativi ed a formulare alcuni propositi. Il proposito anzitutto di crescere nella resistenza, di non offrire speranza alcuna di lasciarsi intimidire, con l’augurio sincero che atti di insulsa vigliaccheria siano come gli ultimi rantoli di un belva che riconosce di essere stata ferita mortalmente e compie gli ultimi insensati gesti.
Nello specifico di Rosario Livatino credo che più di una persona si chieda perché ancora questo inutile gesto contro questo giovane, il cui alto senso del dovere nel campo difficile della giustizia poggiava sulla sua incrollabile fede, al punto che il riconoscimento ufficiale della sua santità non appare davvero lontano.
Ma potrebbe anche essere proprio questo che ha spinto la mano dei criminali in quest’ultimo dissacrante gesto dell’oltraggio alla sua memoria. Un mentalità davvero aberrante e distorta, ma possibile !
Perché mentre l’Italia scopre nel sacrificio del “giudice ragazzino” l’eroismo di un giovane servitore dello Stato che ha incarnato nel suo quotidiano di magistrato le qualità più genuine del giudice davvero “autonomo ed indipendente”, contestualmente il Magistero della Chiesa va constatando che tutto è frutto della sua fede e della radicalità evangelica che lo porta a sacrificarsi per il bene della collettività, senza per questo
mai sentirsi un eroe, ma semplicemente un buon cristiano ed un cittadino responsabile, che compie solamente il suo dovere.
Come ha tenuto a sottolineare il Vescovo mons. Carmelo Ferraro nell’omelia del Funerale, “ Livatino è stato un uomo di legge e un uomo di Cristo”. “Un martire della giustizia e, indirettamente, anche della fede”, come ha successivamente detto San Giovanni Paolo II nel corso della sua storica visita pastorale del 1993 in Sicilia.
In un bigliettino dei suoi appunti, trovato nella sua agenda su cui c’era la sigla STD, che si stentò dapprincipio ad intrepretare, ma che poi si capì che voleva dire di vivere “Sub Tutela DEI” (sotto la protezione di Dio), si trovò un appunto davvero significativo :“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.
Un appunto che possiamo considerare il suo codice di vita, di grande valore etico e cristiano.
Diego Acquisto